martedì 1 dicembre 2015

Linguine nocciola, bufala e broccolo per LSDM 2016


Il blog "Gambetto Nella Zuppa" nasce nel 2009 con l'intento di coprire due esigenze immediate. La prima quella di aprire un canale di comunicazione con chi condivide la mia passione per la cucina e la seconda quella di avere un alter-ego che potesse avere libero sfogo creativo (intellettuale sarebbe pretenzioso) in modo da potermi ritagliare dei benefici "psichiatrici" indotti. No sponsor, no foto professionali, no politically correct ed ironia sempre&comunque per provare a ridere di tutto come è giusto che sia quando si guarda il mondo dalla tavola.
Il perchè del nome, semplice, mia madre usa mettere spesso nelle zuppe il gambetto (o gambuccio) di prosciutto crudo per dare sapidità e completare il piatto con quello che poi diventa il boccone più buono, il quadratino di carne tenero e cedevole che in cottura ha preso tutti gli umori vegetali renendolo ancor più succoso e piacevole. Torniamo a noi però. All'attivo sul mio "curriculum da web" solo due lontanissime partecipazioni a contest. Ecco perchè quando ho accettato di partecipare a LSDM - Le strade della mozzarella 2016 senza volerlo e forse per la prima volta in modo più chiaro, mi sono trovato di fronte ad un bivio. Pensare un piatto per il contest con il pericoloso carico di narcisismo che questa strada implica o seguire la linea personale&passionale prefissandomi l'esigenza-occasione di un pranzo "diverso" in famiglia e con amici, che fosse classico per regionalità ma nuovo nel gusto e nell'accostamento.
Ho seguito l'approccio a me più congeniale quindi, il secondo, partendo da una materia prima di qualità, ricercando il dettaglio nell'equilibrio e facendo leva sulla piccolissima esperienza gustativa che mi porto dentro senza per questo trascurare una linearità e versatilità che facesse percepire il piatto come democratico pur nella sua accuratezza realizzativa. Ho sempre avuto una certa repulsione per quel mondo-di-mezzo del finto-gourmet o del vorrei-ma-non-posso che forse è l'eutanasia meno evidente dell'arte culinaria odierna.
La cucina è convivialità, è condivisione e quindi ingredienti sul tavolo e pensiero traslato al momento nel quale le persone avrebbero accostato il viso e la bocca al piatto per la prima volta....restando in attesa (io) di un sorriso altrui lento e pieno che poi è la gratificazione migliore.
Questa ricetta ha 5 ingredienti principali, mozzarella e ricotta di bufala, pasta, broccolo aprilatico di Patenopoli e le nocciole di Giffoni la cui mancata reperibilità mi ha fatto ripiegare su una nocciola similare nella persistenza e nella pastosità quale quella tonda gentile romana (dop di Viterbo).
La scelta del broccolo aprilatico è di base gustativa (per la nota amaragnola accennata che complementa in modo elegante la dolcezza della nocciola) ed è una strada naturale per territorialità. La linguina invece con la sua parte piatta ben si presta alla mantecatura facendo così “quadrare” al palato la tonda incisività della nocciola. A legare il tutto un olio pisciottano mediamente fruttato che non si sovrappone all’olio naturale delle nocciole ma lo esalta invece aggiungendovi corpo ed equilibrio.
Ringrazio Bruna per la pazienza avuta nei miei confronti e per tutto l'ibuprofene che avrà usato per compensare i malditesta da chiacchierata con me. Qualcuno sostiene che abbia avuto forti attacchi di otite di recente...

PS
Le foto sono tutte al naturale e la differenza di luce è data dal fatto che ho rifatto il piatto 3 volte e le foto si riferiscono a due giorni differenti come è facile notare, uno nel quale c'era il sole e nell'altro solo nubi e pioggerella.
Bando alle ciance passiamo alla ricetta:


Linguine nocciola, bufala e broccolo
Ingredienti per 4 persone:
280 g di pasta tipo “Linguine dei Campi” ;
150 gr. nocciole tonda gentile romana (in sostituzione delle nocciole di Giffoni che non sono riuscito a reperire in tempo);
250 gr. mozzarella di Bufala Campana DOP (di due giorni reali dalla sua realizzazione);
180 gr. ricotta di bufala scolata con gli appositi cestinetti;
30 gr. olio extravergine di oliva fruttato per emulsionare;
15 gr. olio di nocciole;
Olio EVO e sale specificato nei singoli passi;
poche foglie di maggiorana;

NB
Per mantecare la pasta con la crema di nocciole ho usato una padella in alluminio forgiato antiaderente con una ottima distribuzione del calore. Eventuali punti di surriscaldamento infatti potrebbero incidere sulla resa finale del piatto cuocendo in modo difforme. Chiaramente per più persone si cucina, migliore deve essere l'attenzione a questo aspetto (padella usata per finalizzare il piatto) che non è assolutamente un dettaglio.

Crema nocciole
150 gr. nocciole tonda gentile romana;
3 gr. sale;
15 gr. olio di nocciole;
30 gr. olio evo;
3 gr. aglio;
20 gr. di acqua minerale;
Preparazione
Tostare a 180° per 5' minuti con forno caldo le nocciole. Prelevare le nocciole e ripulirle per quanto possibile della pellicina. Lasciarne da parte 10 gr. da tritare a grana grossa per decorazione; Le restanti 140 gr. frullarle con un potente blender insieme ai 15 gr. di olio di nocciole ed i 3 gr. di sale. A parte scaldare i 30 gr. di olio evo dove in precedenza era stato messo in infusione l'aglio ridotto a lamelle sottilissime (infusione di un ora). Portare quindi l'aglio a leggerissima coloritura bionda ed eliminare dall'olio. Incorporare l'olio così aromatizzato al precedente composto (con il blender) alternando con l'acqua minerale fino al raggiungimento di una densità omogenea dalla grana finissima. Qualora il blender non sia di buona fattura procedere anche ad un passaggio del composto in un colino conico per filtrare eventuali pezzettini grandi che implicano disomogeneità.

Crema di mozzarella di Bufala Campana DOC
240-250 gr. mozzarella di Bufala Campana DOP (di due giorni reali dalla sua realizzazione) prelevata dal suo liquido di governo;
180 gr. ricotta di bufala;
30 gr. olio extravergine di oliva fruttato;

Preparazione
Tagliare la mozzarella in sfilacci, mescolare con la ricotta e riscaldare il tutto nel microonde a 350w per 3' minuti. Frullare quindi nel mixer emulsionando con l'olio versato a filo. Mantenere al caldo.

Broccoli
100 gr. Broccoli aprilatici
20 gr. olio evo;
una decina di foglioline di maggiorana;

Preparazione
Prelevare i gambi con le infiorescenze che ci occorrono (mediamente calcolati due gambi per piatto) e passare per qualche minuto in acqua e ghiaccio. Scaldare nel frattempo i 20 gr. di olio evo, spegnere la fiamma e lasciare in infusione le foglioline di maggiorana per una 30'; Riscaldare nuovamente l'olio e saltare velocemente i gambi con le infiorescenze dei broccoletti preventivamente asciugati dall'acqua&ghiaccio nel quale sono stati messi poco prima.

Preparazione del piatto
Portare a ebollizione 3 litri di acqua con 30 gr. di sale scarsi. Saltare in padella la granella di nocciole per completare alla fine il piatto. Cuocere la pasta per 7 minuti scolarla mettendo preventivamente una tazza di liquido di cottura da parte. Passare velocemente la pasta in padella dove avremo aggiunto 160 gr. di composto di nocciola (40 gr. di composto per persona) e 4-5 cucchiai di liquido di cottura caldo. Saltare per un minuto fino alla completa nappatura.
Impiattare mettendo un fondo di crema di mozzarella, una porzione di linguine alla nocciola, completando con le foglie e le infiorescenze dei broccoletti saltati. Qualche goccia di olio a crudo ed una manciatina di granella di nocciola di fresca tostaura poco prima di servire per completare l'aspetto olfattivo del piatto con la nota tostata appunto che arriva al naso insieme al profumo della crema di mozzarella che calda emana un effluvio latteo sapido che ha un suo aspetto intrigante pressochè unico.



martedì 17 novembre 2015

Mignon di brownies con salsa al caffè e croccante alle arachidi

Expo.
Si, ci sono stato e l'ho amato sin dal primo momento.
Avevo (grazie a mio cognato) i biglietti da Maggio ma da vero uomo furbo&scaltro quale sono ho aspettato la convegergenza delle esigenze di milioni di altri dementi come me per avvicinarmici. E'un pò come se ad i primi di Ottobre avessero somministrato del lassativo a qualche milione di persone indicando poi come unico luogo di rilascio Milano, zona Fiera-Rho-Pero, l'Expo!
Ci siamo quindi trovati tutti ai cancelli di ingresso, incontinenti&felici, pronti alla corsa verso i padiglioni che avrebbero soddisfatto i nostri più intimi desideri di conoscenza globale. Ai blocchi di partenza durante il riscaldamento pre-corsa non sono mancati gli sguardi di traverso per intuire le diverse strategie di assalto:"...il Giappone....per primo","...no...no, aspettiamo che tutti vadano a mangiare e proviamoci","...caliamoci dall'alto con un portatore d'handicap e 2 infanti..."..."ma il carrozzino lo hai portato?...", "...nostro figlio ha 16 anni...", "Giusto...".
E poi tra una elucubrazione da Risiko e l'altra senza quasi averne percezione è arrivato il colpo di pistola per la galoppata finale nella fiera. All'inizio è finto stupore venato di dignità a dare luce agli occhi degli avventori, poi qualcosa cambia, una sorta di incontrollata frenesia isterica prende subdolamente il sopravvento. Ad un tratto il cammino evolutivo dell'umana specie perde significato per invertire la direzione in modo direttamente proporzionale all'avanzata nel Decumano. La fiumana verghiana che di solito non solca luoghi fieristici con quella partecipazione, a metà Ottobre, si da appuntamento ad Expo ed indifferente all'etica sociale va avanti incurante dei più deboli che cadono plagiati da miraggi gastroletali. Il cluster del cioccolato è il primo che approccio. Feriti e morti non si contano. Qualcuno abbandona subito suicidandosi al Ciocco-Kebab, una sorta di cagata di finto cioccolato nel quale cadono i primi eliminati alla gran corsa all'Albero della Vita. Altri con sguardo diabolico scartano il micidiale kebab-bicolore per gettarsi nella Factory della Lindt avvicinandosi al marchio con la stessa devozione di un cattolico a Gerusalemme. Chi ha spirito Intestinal-kamikaze con ramponi e corde di fortuna scala direttamente il Nutella Bar con gli occhi sconvolti di chi vive una crisi di dipendenza da droga sintetica. Sticaxxi dei padiglioni sotto semivuoti, delle fave di cacao, delle piantagioni, della ecosostenibilità, delle iniziative delle popolazioni coinvolte in queste attività agrarie...qui vige la regola non scritta che se non hai assaggiato-comprato-magnato un qualcosa che ricordi il cioccolato o che sia vagamente marrone sei un perdente. Va detto che i padiglioni cosiddetti minori del cluster del cioccolato non aiutano alla causa divulgativa. Qualcuno ricorda più che altro la bancarella di rappresentanza del proprio stato, in uno veniamo accolti (serio) da alcuni rotoli di carta igienica all'ingresso laddove il nesso cacao<->caca-O non è frutto della mia mente malata ma piuttosto voluto a questo punto. 
Nell'incedere verso il "Ceppo delle ceppe", non manco di passare per il padiglione del Vaticano, vuoto perchè come tutti ben sanno qui non vale il selfie mistico-religioso, sono come il due di briscola, vengono anche dopo le istantanee con sfondo la frutta o i formaggi di plastica che fanno bella mostra della loro insostenibile biodegradabilità. Uscire con in mano un magnete di Papa Francesco, vedere la fila accanto di due ore-circa per la patatine fritte olandesi...e pensare (pur senza farlo) ad una imprecazione è stato tutt'uno. Anche perchè nel frattempo "s'era-fatta-na-certa" e qualcosina l'avrei anche ingurgitata. Ecco che girandomi a 360° il pranzo si è composto da solo sulla base di una unica discriminante, l'assenza di appetibilità e soprattutto di fila. Motivo per il quale senza alcuna ragione ho strappato una decina di minihotdog olandesi ad un prezzo vicino a quello del platino lavorato. Non solo erano appena appena accettabili (pur trovandoli estremamente gourmet sul momento), ma nella mia irruenza alimentare ho anche creato in chi mi circondava la falsa aspettativa che fossero ottimi. Infatti da che ero solitario avventore alla cassa...poco dopo ero schiacciato da una folla di geni che in me avevano intravisto un sensei gastronomico che indicava una via sostenibile e vivibile di alimentazione istantanea. Mio cognato invece a rischio della propria vita è riuscito a conquistare nel frattempo ben due saltinbocca con un formaggio giallo che abbiamo digerito solo grazie alle birre al plutonio prese poco prima rigorosamente in bottiglie di amianto similalluminio. La conquista è stata pranzare a volo in soli 20minuti. La catalessi postprandiale che ci ha colto in forma di svenimento (data dal materiale in decadimento radioattivo ingurgitato) è stata resa accettabile e dignitosa grazie ad alcuni divanetti rossi molto comodi nei pressi dei Chioschi dell'Acqua vicino allo stand della birra Moretti. Questi moderni dormeuse nella fattispecie erano vuoti, si avete capito bene, vuoti...ma solo perchè il coroner aveva finalmente predisposto poco prima la rimozione di alcuni turisti che si erano spinti fino alla morte sopra di essi senza soddisfare più alcun bisogno vitale pur di non abbandonarli in considerazione della conquista dal sapore eroico che avevano condotto nel lontano mese di Agosto. Chiudere gli occhi ed abbandonarsi ad un sonno pischedelico ristoratore con lo sfondo di una fila apocalittica per un birra alla spina Moretti ed una piadina di plastica è stato come toccare il cielo dei paradossi umani con un dito standosene li fermi a ridere di tutto. In realtà era la digestione delle scorie olandesi a dare questa sensazione leggera e filosoficamente accattivante come lo furono per l'architettura industriale i primi manufatti d'amianto. Svegliarsi poco dopo e constatare che le energie erano quasi azzerate ha portato alla tragica constatazione che ci saremmo spinti fino all'arbusto della sopravvivenza per vedere lo spettacolo "imperdibile", non altro. Sono serio quando ad un certo punto dico che un tuono di insulti ed un fremito preoccupante della immensa fila del padiglione Italia ha scosso l'aria come il rombo di un aereo in partenza. Un cameraman della Rai poco dopo mi spiegava (indicandomi con la mano) un ragazzo poco avveduto che in modo anche splendido aveva provato ad inserirsi nella coda facendo finta di niente...rischiando poi di essere linciato seduta stante. Mentre osservavo il tipo allontanarsi velocemente con la compagna a capo chino, dalla fila oceanica la cosa più delicata che si scorgeva era una numero impressionante di dita medie alzate al cielo che echeggiava a sua volta di commenti sulla di lui madre e su quanto fosse famosa per l'arte amatoria a pagamento.
Una curva dopo ci siamo trovati finalmente davanti all'Albero della Vita. Spettacolare...vedere all'improvviso le persone che erano arrivate con me girarsi in gran numero e con gran sincronismo per procedere al rito del selfie. L'albero della Vita mi è apparso quindi per quello che realmente è...il simbolo dell'eutanasia assistita dell'intelligenza media, non trovo altra definizione. Vedere scolaresche di piccoletti restare naso all'insù sotto l'albero delle piccole sorprese di luce e dei fiori che si aprivano alla vista tra getti d'acqua che procedevano a ritmo di musica ha dato un senso alla mediocrità da 15 megapixel degli adulti poco distanti. Essere trend sui social, atterrando il sociale che avrebbe dovuto comunicare il carrozzone dell'Expo è un cortocircuito inevitabile, una sorta di cartina di tornasole di chi ha scoperto nell'autofocus della propria persona una ragione di sopravvivenza artificiale sul web. Non ho un giudizio stringente su Expo, trovo che in definitiva come parco tematico sul cibo e sul turismo sia imbattibile. Una amica di imprecazioni sul web mi suggerisce che sotto il profilo architetturale e tecnico è una fucina di spunti e di idee ineguagliabile e non ho difficoltà ad intuirlo. Non da meno l'aspetto tutt'altro che secondario di aver trovato una città rinata per tutti quegli eventi che sono passati sotto la voce " del fuori Expo". Qualcuno ad Agosto ha anche rimpianto di aver prenotato le vacanze lontano dalla "capitale lombarda" il che per quanto suoni paradossale ha un che di vero che si può respirare attraversando alcuni quartieri che ricordavo impolverati e senza vitalità alcuna. L'evento Expo è stato un volano eccezionale e quindi nell'ottica di una Milano vivace, ridesta culturalmente, palpitante di spinte diverse, il conto di una esposizione Universale che diventa gabbia espositiva di noi stessi prigionieri dell'idea di cibo è un prezzo verghiano tutto sommato accettabile per quanto amaro :)

PS
L'unico selfie che valeva veramente la pena di fare era quando ho visto la fila per il bagno ed io in uno stato prossimo all'incontinenza...ecco forse in quel caso più che sullo sfondo la vicinanza di un albero (della Vita) mi avrebbe rasserenato prima... :D

Passiamo però alla ricetta.
Niente di complesso, tutt'altro, è stato come scoprire l'acqua calda.
Ho appena fatto una crostata integrale con fondente e pere davvero speciale per resa e gusto ma preferisco invece postare subito questa perchè il riscontro ad una recente cena è stato ben oltre le aspettative.
Chiaro che nelle vostre menti si stia affacciando la scena di un branco di primati al mio tavolo e per certi versi non avreste torto se non fosse per il fatto che hanno passato l'esame anche di persone più scaltre in cucina e meno facilmente ingannevoli alla prova palato. Un dessert da osteria ma con un animo decisamente più snob e pretenzioso....che nella sua linearità merita un rifacimento, ed un altro ancora, ed uno ancora... Si parte dalla fiducia, quella basata su una stima consolidata nel tempo nei confronti di una amica che ho interpellato non appena mi è stato chiesto un brownie per dolce. Stefania ha una sezione dedicata ai dolci inglesi (ed una sottosezione ricca di brownies) nonchè spesso dei commensali che sono cresciuti a brownies (ed affini) e quindi chi meglio di lei per avere indicazioni, consigli.
Ora l'apologia dell'Araba Felice è inutile ed anche superflua, che si sappia che è una persona molto più bella di quello che si possa immaginare e non parlo di fattori estetici da web...ad evidenziare questi ultimi aspetti ci pensano già gli stalker che raccoglie in rete così come gli appassionati di rimedi da patologie intestinali e amici di plessi venosi chiappali. Quindi il piatto nasce da una sua indicazione e dalla mia recente passione che collega il salato al fondente nelle sue versioni più disparate.
Ecco al Mignon di brownies con salsa al caffè e croccante alle arachidi 
La bellezza di questo piattino rustico ed essenziale è la generazione di un loop che porta al suicidio alimentare. Si parte dal brownie al quale ho ridotto la quantità di zucchero per meglio evidenziare la nota fondente del Valrhona al 63%. La salsa al caffè dona umidità e sostiene ancor più la persistenza in bocca del cioccolato. Il croccante aumenta la salivazione ed una volta deglutito ricrea il desiderio del brownie alle noci. Insomma si parte con il piattino per far scena poi si porta dalla cucina il resto e si da libero sfogo al morto di fame che alberga in molti di noi.
La ricetta del croccante di arachidi l'ho presa sul web (giallozafferano....ebbene si non sono perfetto lo so)...e devo dire che è precisa malgrado le perplessità iniziali e malgrado la stessa Stefania ne avesse una...si....se lo state pensando....sono proprio la schifezza degli amici! :D A seguire il dettaglio... 

Mignon di brownies con salsa al caffè e croccante alle arachidi
 
Chocolate Brownies (da Nigella Express) per una teglia quadrata da 24cm di lato
225 gr. di cioccolato fondente Valrhona 63%;
225 gr. di burro;
2 cucchiaini di estratto di vaniglia;
190 gr. di zucchero semolato (io ho usato 140 gr. di zucchero);
3 uova Codice 0 grandi;
150 gr. di farina di mandorle + qualche mandorla amara;
100 gr. di noci di ottima qualità grossolanamente tritate;

Salsa al cioccolato
75 gr. di cioccolato fondente Valrhona 63%;
125 ml di panna fresca liquida;
2 cucchiaini di caffè solubile;
2 cucchiai di acqua; un cucchiaio di golden syrup, oppure miele, oppure sciroppo d'acero (nel mio caso miele);

Procedimento
Sciogliere su fuoco bassissimo cioccolato e burro. Togliere dal fuoco, unire lo zucchero e la vaniglia e far riposare cinque minuti. Unire quindi le 3 uova battendo tutto con le fruste elettrice, quindi unire con una spatola la farina di mandorle e le noci tritate. Versare nello stampo precedentemente rivestito di carta forno e cuocere in forno preriscaldato a 170° gradi per circa 25-30 minuti. Il dolce dovrà essere solido, ma non troppo duro. Far raffreddare completamente prima di tagliare a quadrotti. Per la salsa, versare acqua e caffè in un pentolino. Far sciogliere quindi unire il cioccolato spezzettato e tutti gli altri ingredienti. Far sciogliere tutto a fuoco bassissimo quindi servire calda con i brownies.

NOTE dal blog Araba Felice
  • il dolce è ancora più buono il giorno dopo, quindi resistete a tagliarlo. Avrà anche una consistenza migliore;
  • buonissimo anche freddo di frigo;
  • si conserva perfettamente anche per una settimana, senza perdere morbidezza. - non stracuoceteli, il segreto di un buon brownie è la consistenza.
 
Croccante di arachidi salate 
360 gr. di acqua;
200 gr. zucchero di canna;
250 gr di arachidi tostati (anche quelle salate)

Procedimento
In un recipiente dal fondo spesso mettere acqua e zucchero. Portare a bollore e sfruttare il fatto che il caramello non è ancora pronto per inserire le arachidi tostate&salate. Procedere quindi con la cottura fino a quando la densità dello sciroppo di zucchero con le arachidi non è tale che spostandola con un cucchiaio di legno rioccupa lo spazio lasciato vuoto con un tempo decisamente maggiore di quando era allo stato liquido. Spegnere il fuoco e versarlo su una teglia ricoperta da carta forno. Livellare con una spatola e lasciar raffreddare completamente prima di ridurlo a pezzetti irregolari secondo occorrenza.




martedì 19 maggio 2015

Crostata Sacher (amaretto&albicocca)


Diario - 6 Dicembre, Sabato del weekend lungo con il ponte dell'Immacolata di Lunedì.
Le persone normali un Sabato così lo sfruttano al meglio, c'è chi dorme per recuperare ma anche chi prende l'albero di Natale dallo sgabuzzino per allestirlo nell'ennesimo pomeriggio di un giorno da cani da passare in mezzo a palle-palline-palloni, tra statuette del presepe invalide, festoni spellacchiati da rutti del Natale precedente e blister di luci cinesi all'amianto radioattivo luminose e pure intermittenti anche non in corrente.
C'è chi invece va al supermercato per allenarsi alla spesa-definitiva, quella stronca portafoglio ed anche coronarie visto che in offerta ci sono sempre i soliti panettoni con creme fosforescenti e glassature idrorepellenti, il classico 3x2 del salmone affumicato su autentico legno di quercia di Chernobyl, insalate di mare di Fukushima rimestolate con sapienza estetica in teglie smaltate con pittura per imbarcazioni. "Magari lo passo in cucina" penso il Venerdì sera in modo da anticipare qualche preparazione e potermi liberare per i giorni seguenti, "...e no!...", c'è la libreria da comprare, qualche stramaledettissima Billy di questa minchia da dover montare prima delle feste.
L'arrivo da Ikea non è strategico nell'orario ma "...'fa nulla..." oramai il danno organizzativo di dedicare una mezza giornata alla fiera del truciolo è già in fase di assimilazione.
Dopo mezzogiorno quindi salgo al purgatorio. Invece no è proprio l'inferno, a fine scala mobile già si vede la fila per mangiare... Immersi senza preavviso nel miasma olfattivo della pseudo trendy cucina svedese, mi trovo quindi a ravanare con lo sguardo nel cartellone del menù del giorno. Un morto di fame come me non può non perdersi nel fantastico mondo dei nomi dei piatti made-in-Ikea, cacofonici nel suono e molto probabilemnte anche nella resa finale. Poco male, non mi avranno!(mi induco a pensare un diniego per sedare una ingiustificata salivazione....)
La grammatica mi viene in soccorso però. Una Immondo-soppe (zuppa) di apertura, polpette di carne(?) köttbullar, l'assonanza visiva e fonica con i bulloni è fisiologica, degli involtini di cavolo dal colore improbabile così come il nome, Kaldomar e poi infine i pasticcini-biscotto Kakor, in tutte le salse-confettura compreso l'"ascellberry". Chiedo venia alla Svezia ma un Kakòr non può e non deve essere un dessert, Kakor al massimo può essere un qualche personaggio di fantasia per far ridere a crepapelle i bambini che iniziano a destreggiarsi nel significato con parole quali cacca&puzzette, non altro. Malgrado ciò sono portato di peso verso lo showroom prima di riucire ad arrivare alla cassa ed ordinare un MenùOmniComprensivo, perchè seppur associ con lucidità la tavola calda svedese del mobilificio ad un anticamera del "cesso a vita" ho sempre un morto di fame dentro di me che prende il sopravvento inducendomi a gesti "gastro-estremi". Si parte quindi con il "percorso Ikea", a digiuno ma con vago sentore di vita salva. E' un sentiero obbligato il "percorso Ikea", fatto di umanità in decomposizione cerebrale, ripetitività ficcante&convincente e paradiso per ortopedici, osteopati e carrozzieri. Partiamo dall'umanità però. Da Ikea non si va da soli, c'è un nucleo umano di almeno due persone ad entrarvi e poi con l'aggiunta di una unità alla volta si arriva fino ai gruppi famigliari o di amici che in qualche caso record può spingersi anche alla decina. Con certezza assoluta questo nucleo umano si divide in due sottogruppi. Il primo è quello che vive per una giornata da Ikea, che dentro è un architetto-geometra mancato è che non uscirà mai fuori dallo showroom senza almeno una cassettiera da personalizzare. Gli altri invece fanno parte dei soggetti umani "a carico", quelli obbligati con meschinità di ogni tipo a presenziare a quella liturgia laica del marketing svedese dell'arredamento, quelli che indipendentemente dal sesso trascinano le proprie "palle" lungo il sentiero lasciando solchi che disegnano i miglior circuiti di biglie mai visti prima. La presenza dei bambini che si gettano su divani e puff a caso con urla e capricci di ogni genere, appesantisce ulteriormente il clima rendendo quasi collerico e irrazionale lo stato di alienazione mentale nel quale si trincerano i "condannati dell'Ikea". La strage è sempre annunciata ed evitata per un soffio. I migliori psichiatri militari si dice usino "Ikea" per addestrare alla sofferenza psicologica estrema le teste di cuoio ed i corpi speciali. Passiamo quindi alla ripetitività ficcante&convincente. Ikea produce un set di mobili fisso e con quelli arreda un centinaio di scenari sempre con le stesse unità di base, suggerendo funzionalità e composizioni architeturali alternative. La ridondanza visiva e la resa scenica delle compatibilità si concretizza quindi nel sottobosco neuronale brullo e arido dei singoli umani sottoforma di dolce e persuasiva coercizione..."quel mobile è fondamentale, è decisivo, è funzionale, è bello, è cool, è "in", è intrigante,....". E'un lento e inesorabile lavaggio del cervello, di certo molto più efficace in chi ha appena mangiato al self-services. Sostanze psicotrope nel cibo e messaggi subliminali lungo lo showroom e si arriva al magazzino prima delle casse sufficientemente sedati nella volontà, rincoglionita al punto tale da ritenere Ikea, principio fondante dell'universo ligneo dell'arredo. E'provato che anche chi vive in albergo perchè milionario, una volta portato da Ikea ha comprato almeno una sedia a dondolo, una abat-jour o un irrinunciabile set di taglieri. Decerebrati al punto giusto si giunge quindi tutti al magazzino in uno stato semicosciente, intorpiditi nella volontà, occhio pallato, sguardo assente, insensibili ad ogni stimolo corporeo e con deliri di onnipotenza muscolare. L'acquisto in modalità self-service con presa delle merce direttamente dalle pensiline e dai pallet del magazzino viene infatti instillato dalla comunicazione come una azione elementare immediata. E'superfluo che la scheda-prodotto riporti una lunghezza dell'imballaggio di 2,5 metri ed un peso di 32Kg, a noi infatti, arriva sempre e solo la percezione di confrontarci con una spesa di minuteria ad ingombro ridotto, nemmeno fossero matite e quaderni. Ammesso infatti che evitiamo la discesa di una ernia trascinando in qualche modo il nostro scatolone sul carrello-carro-armato, supposto per assurdo che anche il passaggio del codice a barre sul lettore alle casse avvenga senza prolassi inguinali, è al parcheggio che i nodi arrivano al pettine, è li che ci rendiamo conto che il volume ed il peso non sono concetti astratti ma misure fisiche oggettive che non hanno nulla di rassicurante quando li confrontiamo con la nostra utilitaria. Si, perchè a meno che non siate i felici possessori di un SUV o abbiate un camioncino per traslochi, alla piazzola di sosta del parcheggio emerge chiaro il concetto dell'incomprimibilità dei solidi e della loro difficile riduzione. Sventrare i sedili posteriori dell'auto, sfanculare il ripiano di pelo di topo del bagagliaio a volte non basta, così come sminuzzare a morsi l'imballaggio, ci sono momenti nei quali seppur con le lacrime agli occhi è necessario regalare la ruota di scorta al primo passante. Sono momenti brutti, di transizione, attimi increduli che però concorrono a conquistare quella stramaledettissima Billy di questa ceppa.. Sporchi, sudati, mezzi asfissiati dal monossido di carbonio, incattiviti dall'Ikea pensiero che fallacemente ci ha fatto credere che il self service è un valore aggiunto, con i menischi maciullati dal peso del design svedese, perplessi se lasciare a terra anche il crick o usarlo sul parente prossimo che ha organizzato quel D-Day e con i finestrini aperti anche se piove per consentire all'anta di essere portata a casa, si intravede quindi la via del (non)ritorno. Se nonna non ha avuto l'ossigeno per qualche minuto perchè con un movimento netto le abbiamo stracciato le cannule dell'ossgeno nel tentativo di stivare gli sportelli della libreria accanto alla bombola di ossigeno portatile poco importa, se uno dei figli è stato dato in temporanea adozione per mancanza di spazio anche quello è accettabile, persino il conto del fisioterapista e dell'ortopedico sono passabili, zia lasciata alla fermata dell'autobus continua ad essere percepita in un quadro di possibile dignità perchè se non spaventa il preventivo del carrozziere una ragione c'è, ci deve essere...porca di quella troika. Panze piene, portafogli vuoti, macchine sventrate e famigliari persi in battaglia....eppure nel rientrare a casa emerge impulsiva la convinzione autoindotta che il vero guadagno non sarà solo il tanto agognato (e già sfasciato nel trasporto) mobile...quanto quelle fantastiche 5 fottutissime matitine che come cimeli di guerra mai più restituiremo...

Passiamo però alla ricetta....anzi no, due veloci parole sul nuovo layout del blog.
Sono molto "orgoglione" dell'impronta grafica che Sara ha dato al blog. Stile "minimale" il mio, adoro le cose sottotraccia, tra le righe, l'universo che c'è tra il detto-e-non-detto.
Perchè il cambio?
Non lo so, mi girava così, non ho un pubblico fisso al quale rendere conto, non vivo di like su Fb, pubblico quando mi va e quindi la questione è un apparente controsenzo eppure ogni tanto il cambio fa bene, forse necessitavo di un palliativo per evitare qualche denuncia sui social o ancor più concretamente mi piaceva l'idea di mettere in gr..afica quanto "verbalmente" sono sotto il profilo pubblico. In effetti sono il gambetto di prosciutto nella zuppa, uno che non serve necessariamente ma che se c'è, aggiunge sapidità, uno da "usare" con moderazione altrimenti il piatto diventa eccessivamente saporito, la persona che deve vivere della sua libertà senza sottostare a bandiere o sponsor, a cricche sui social o ad amicizie a convenienza. Il maiale che viaggia su una carota è invece la trasposizione della mia passione per i cartoon, del morto di fame che sono, di come a volte uso la scrittura con la dolcezza di una carota altre invece sfruttandone solo consistenza e forma.
Ringrazio sinceramente per la pazienza dimostrata con me Sara, una ragazza speciale con la quale conversare ironicamente di tutto e senza mai perdere di vista il concreto. Viaggiare per qualche tempo su una sottile linea di nonsense condiviso è stato un privilegio.
Adesso però davvero passo alla ricetta. Nanni è una di quelle persone che senti amiche, di quelli che ti conservi gelosamente pur frequentandolo poco meno di niente. La persona, il talento e la competenza ne fanno uno dei miei principali referenti. Ecco quindi che la sua Crostata Sacher non poteva che diventare un tarlo ossessivo. Devo dire che in qualcosa l'ho modificata ma solo per rompere il perfetto equilibrio della sua ricetta che ho seguito passo-passo aggiungendo in più uno strato di pasta di albicocche disidradate ed amaretti, un toccasana per spezzare il cioccolato di fondo(almeno a mio modo di vedere). Sotto il dettaglio ed in parentesi le aggiunte personali:

Crostata Sacher (amaretto&albicocca) (Nanni ed un pò Gambetto....molto poco Gambetto....) Pasta frolla al cacao Farina 270 gr.
Cacao 30 gr.
Baking 3 gr.
Burro 180 gr.
Zucchero a velo 120 gr.
Latte 40 gr.

Torta "Sacher" 
Burro 150 gr.
Zucchero a velo 75 gr.
Tuorli 6 Farina 175 gr.
*Pasta base di cacao 120 gr. (vedasi spiegazione sotto)
Baking 8 gr.
Zucchero semolato 75 gr.
Albumi 4

Glassa fluida per rifinire la sommità della torta 
Copertura fondente 64%
120 gr. Panna
100 gr. Glucosio
20 gr. (miele di acacia in sostituzione)

Per la rifinitura
Confettura di albicocche;
(pasta di albicocche&amaretti --> 80 gr. albicocche disidratate e 80 gr. di amaretti frullati insieme)
Biscotti semisferici di frolla al cacao
Copertura fondente
Albicocca disidratata

Procedimento 
Preparare la pasta frolla col metodo che si preferisce e lasciarla riposare come sempre, dopodiché stenderla a spessore adeguato in stampo circolare, spalmarne il fondo con un po' di confettura d'albicocche. (Coprire poi il fondo con la psta di albicocche&amaretti in modo uniforme) Con la pasta rimanente cuocere dei biscottini tondi, come fossero baci di dama e lasciarli raffreddare.
Preparare il composto tipo Sacher montando il burro con lo zucchero a velo, incorporare i tuorli e la pasta base di cacao. Montare gli albumi con lo zucchero semolato ed incorporare la meringa ottenuta alternandola con le polveri preventivamente setacciate. Distribuire l'impasto, livellare e cuocere a 175° per 35' (nel mio caso45-50 minuti) circa o comunque fino a cottura completa. Sfornare lasciar raffreddare e smodellare dallo stampo. Fissare i biscottini al perimetro con poca copertura temperata, riempire l'interno con la ganache di cioccolato realizzata così come spiegato sotto(Glassa fluida per rifinire la sommità della torta).

*Base al cacao
Zucchero a velo 20 gr.
Latte 100 ml
Massa di cacao (o cioccolato al 90-99% di cacao) 50 gr.
Cacao 50 gr.
Zucchero 25 gr.
Vaniglia
Preparare la base al cioccolato che aggiungeremo poi alla panna: in un pentolino riscaldare il latte con la vaniglia (i semini di 1/4 di bacca) finché è tutto sciolto ed omogeneo, a parte setacciare il cacao con lo zucchero ed aggiungerlo poi al latte caldo stemperandolo con una frusta. Aggiungere infine il cioccolato a piccoli pezzi e scioglierlo sempre mescolando a fuoco lento. Continuare a cuocere mescolando senza interruzione per non farlo attaccare al fondo, finché addensa un po' togliere poi dal fuoco e lasciar raffreddare. Glassa fluida per rifinire la sommità della torta. Cioccolato fondente 64% 120 gr. Panna 100 gr. Sciroppo di glucosio 20 gr. Sciogliere a fuoco lento il glucosio nella panna mescolando con una spatola di silicone, continuare poi a scaldare ed appena spicca il bollore, spegnere e togliere dal fuoco. Attendere qualche minuto e poi aggiungere il cioccolato fondente tritato, lasciar sciogliere senza mescolare ancora un minuto e poi sempre con la spatola emulsionare cercando di non incorporare bolle d'aria. Una volta ottenuta una crema fluida e lucida verificare che la temperatura sia arrivata appena sotto i 30° e colarne la giusta quantità al centro della torta. Dare poi dei colpetti al vassoio facendolo "saltare" in modo da far distribuire omogeneamente la glassa sulla sommità della torta.





martedì 17 febbraio 2015

Crostata di mele con frangipane di mandorle e frolla integrale salata


Parlare di categorie professionali è sempre fuorviante, il luogo comune si fonde con le caratteristiche al contorno, però certe linee guida di alcuni percorsi formativo-scolastici sono di solito più facilmente individuabili e questo indipendetemente dal contesto lavorativo o famigliare nel quale si incastrano. Non so se ne avete qualcuno a portata di mano ma la figura dell'ingegnere suppongo la abbiate presente, almeno per sommi capi intendo.
Personalmente ne conosco molti, alcuni "addirittura" ancor prima che lo diventassero. Ricordo con un certo affetto l'ultimo anno di liceo quando frequentavo quei magnifici quanto inutili corsi di orientamento alla scelta della facoltà. L'eroe mediatico del momento, all'epoca dei fatti, era il magistrato, un eroe solitario votato al martirio ma anche alla vittoria sociale finale, quella che piega la mala-cultura e redime i cattivi, una sorta di nuova religione di atei codici. Medicina era invece la scelta di quelli caratterialmente inclini all'assistenzialismo, all'arrampicata sociale o alla continuità della targhetta con il titolo sulla porta di casa. C'erano quelli che nell'indecisione si buttavano su Scienze Politiche. I più integralisti, quelli che per intenderci si prendevano molto sul serio durante le manifestazioni politiche inseguivano invece psicologia o sociologia per giustificare la maglietta del "Che" indossata per comunicare sfumature intellettuali idealiste. Magari era solo funzionale a motivare lo spinello o per "accompagnare esteticamente" la birra tenuta tra le dita delle mani come una sigaretta per sentirsi alternativamente fighi in un contesto (molte volte) privo di spunti veri o interessanti.
Gli anni 80' avevano già archiviato da un pezzo gli anni di piombo , c'era solo l'imbarazzante (e ricco) socialismo ad annacquare una lotta sociale ai minimi storici. Lo "sdoganamento" della cocaina da droga dei ricchi a quella della media borghesia a caccia di riscatto sociale, gli yuppies, gli arrivisti dell'ultima ora, il boom della tecnologia e la democrazia cristiana come culto pagano, questa la cornice sociale che faceva da sfondo alla mia post-adolescenza.
Alle spalle di tutto però si muovevano i nerd, occhialuti esseri, un pò panzuti o in alternativa magri con brufoli strategici sul viso (di belli non ne ho ma visti), quelli che passivamente credevano alla Befana fino ai 10anni circa, analizzando però in antitesi tutto quanto li circondava con la stessa logica impietosa che invece trascuravano per le immediatezze banali della vita (quale appunto la Befana...). I reietti dagli sguardi femminili, sempre i nerd, guardavano tuttavia scolasticamente parlando tutti nella medesima direzione (universitaria), magari con cambi di conduzione secondo piccole sfumature di "pesantezza". Quelli nerd dentro, ma dentro-dentro, sceglievano matematica o fisica, quelli meno nerd e con un desiderio di rivalsa sociale che non fosse solo "filosofia" sceglievano invece ingegneria. Tra gli aspiranti ingegneri dell'epoca ricordo anche l'estemporaneo di turno, lui, "Mr Adasguish" (che ho conosciuto e frequentato per altro) che un pò per supposta convinzione un pò per fare colpo sulla ragazza, si era iscritto ad ingegneria elettronica, vestendosi "da ingegnere" sin dal primo giorno di corso, quasi che la futura qualifica implicasse una sorta di divisa sociale. Valigetta firmata Armani (non falsa), giacca Armani (originale anche questa, la madre aveva degli agganci lavorativi con il negozio) con pochette, pantaloni alla moda, capello pettinato con gel, proprietario di una 127 blu full-optional il cui impianto stereo costava più dell'intera auto, che insieme agli sfigati di un complesso universitario intero, all'apertura delle porte della facoltà alle 7:00, correva in mezzo a studenti di economia e commercio, piuttosto che di fisica per accaparrarsi i posti in prima fila nelle maxi-aule dei primi anni di corso, tutte affiancate in un corridoio lungo quanto un campo di calcio. Gli altri invece, compreso me, in tuta, in jeans al massimo, i volti stravolti dal sonno, con la bocca che sapeva di caffe&latte ingurgitato di corsa per arrivare in facoltà alle 7:00 quale che fosse il tempo o la temperatura, si accontentavano di dignitose terze file, quando buttava male la quarta. Una facoltà nuova per giunta di quelle costruite nel nulla ed ugualmente irrangiungibile per tutti, di quelle che azzerano ogni differenza tra i fuori sede ed i residenti. Un complesso funzionale e didattico decisamente democratico sotto il profilo logistico visto che i tempi di percorrenza per arrivarci, sia per chi distava 2Km in linea d'aria piuttosto che 60Km erano pressochè identici.
Eravamo infatti tutti geograficamente e provvisoriamente deportati in questa cattedrale nel deserto quale che fosse il punto di partenza, lascio quindi immaginare quale potesse essere la tenuta dell'abbigliamento dei più, che come me, vivevano in questo complesso dalle 7:00 alle 19:00 di ogni santissimo giorno feriale, compreso i prefestivi in molti casi. "Mr Adasguish" era ingegnere fuori quindi, forse lo era meno dentro visto durò qualche anno, non oltre che io sappia, pur restando immortale in quelle sue performances atletiche alla ricerca della seduta migliore che lo volevano runner di successo tranne per quella volta che nella ressa di una ventina di studenti in pieno scatto, tra vecchie cartelline di plastica colorate e zaini riciclati dagli anni precedenti, tra borsettine con il pranzo e fascicoli di fotocopie tenute insieme da lunghe graffette, inciampò. Chi, come me, era dietro vide solo la valigetta Armani librarsi in aria su una manciata di cappellini di lana in competizione, poi si avvertì la botta secca di un corpo pesante a terra, lo stesso che fece tamponare altrettanti malcapitati. Una pochette segnalava il groviglio umano dove scavare per recuperare " Mr Adasguish" ed il suo stereo portatile. Gli ingegneri "veri", quelli che poi lo sarebbero diventati negli anni a venire e che non furono coinvolti nella caduta a catena successiva di quel rovinoso capitombolo che coinvolse anche un bidello, si voltarono per un attimo ma cinicamente iniziarono a ridere solo dopo essersi assicurati le prime file di posti.
Già all'epoca avrei dovuto intuire da quell'episodio cosa e chi sono "alcuni" ingegneri. La facoltà poi forgia, soprattutto quella con i professori riconosciuti come i migliori dell'epoca ma anche come i più esigenti, quelli che ti comprimono didatticamente ed umanamente fino a quando per reazione, al raggiungimento di certi risultati, degli esami piuttosto che della laurea finale, l'autostima ti si dilata in modo non del tutto cosciente, dandoti fallaci percezioni di aver raggiunto stati di semidivinità intellettuali. E' pur vero che discorsi generici non se ne possono fare, ma per grandi linee condite da un bel pizzico di superficialità, con il senno di poi si può affermare che gli ingegneri si dividono in due grandi "macroclassi", quelli con la sindrome dei "grandi uomini" e quelli invece alla ricerca di una "umanità classica".
La seconda tipologia è per motivi affettivi quella al quale sono maggiormante legato perchè costantemente alla ricerca di una alternativa analitica che contempli anche, e di più, l'aspetto umano, propendendo verso la generosità (intellettuale e non). La prima macroclasse invece è quella dalla quale provo a tenermi il più lontano possibile, perchè va dallo "stronzo-purista", quello la cui autostima confina con la totale mancanza di autocritica, quello che magari per posizione lavorativa o per predominanza caratteriale-affettiva nel proprio contesto, è incontraddicibile e tutto quello che afferma, che sia per divertimento o per argomenti più seri è verità oggettiva scritta nella pietra, fino ad arrivare all' "ottimizzatore con coscienza a margine", colui il quale individua sempre la migliore strada per se, dopo, forse, se ha tempo, magari per "sport" la trova anche per il proprio cane e solo dopo per i colleghi o i suoi cari, perchè in generale per quest'ultimo vale la legge del "se la sfango io...sti cazzi" e se faccio qualcosa è solo perchè ho un ritorno personale. Ineccepibili analiticamente questo gruppo di ingegneri curvati dalle aspirazioni personali, meno dall'etica per ovvie ragioni, irritanti a prescindere per avere il dono del non ascoltare se non per interesse, ne ho anche conosciuti alcuni, qualcuno di recente però in piena crisi di conversione colto dal fulmine dell'aridità sociale e pronto a cambi di percorso radicali. Di mio, di ingegneri ne bazzico diversi e fortunatamente quelli che frequento o con i quali mi rapporto nel personale non appartengono (fortunatamente!) alla prima categoria, la scimmiottano per vanità, forse...ma non vanno mai oltre.
Quelli che invece non hanno dubbi, quelli che stanno all'autoironia come Barbara D'Urso sta al giornalismo di inchiesta, quelli che hanno un solo parere ed è inattaccabile appunto, quelli "che solo loro sanno leggere bene i fatti" e devono spiegartelo in qualsiasi modo anche quando si capisce che hanno imboccato un vicolo cieco, se potete invece, evitateli o frequentateli con il contagocce, i più sono solo dei giganti di argilla da abbattere a 'capate o a risate :)
Lascio quest'argomento con la figura del primo ingegnere che ho conosciuto.
Barba bianca, sguardo sveglio, carico di luce, la passione per i trenini elettrici, la battuta sempre pronta, la consapevolezza di avere maturato con il tempo strumenti di analisi affilati quanto concreti. Da lontano qualcuno lo scambiava per Luciano De Crescenzo e per colori devo dire che la somiglianza ci stava (ironia del caso De Crescenzo è un ingegnere) anche se non ho mai capito che effetto gli facesse questo accostamento estetico. Mi guardavo le vetrine illuminate che aveva allestito in casa a far bella mostra di se con convogli ferroviari di vario tipo con l'ammirazione e l'aria intontita che hanno i ragazzini quando intuiscono che il "gigante" che gli sta di fronte non è solo un grigio parente titolato quanto qualcuno con il quale provare a trovare un canale di comunicazione, per dirci cosa non lo sapevo di certo allora. Il tempo non ha aiutato, ho maturato però pian piano sempre più chiaramente l'idea che anche io avrei provato a portare con me "dei trenini" con i quali alleggerire il percorso che avrei intrapreso qualunque fosse stato o qualunque sarà.
Nessuna morale, come sempre, è chiaro che per qualche strana ragione anche io sia a mio modo un ingegnere, l'unica cosa che auguro a chiunque però, e soprattutto agli ingegneri è di avere sempre una "vetrina di trenini", per specchiare le proprie incertezze, per coagulare quello che siamo e non quello che vorremo apparire e per intuire soprattutto che prendersi troppo sul serio attecchisce si....ma solo con i cretini :)

Passiamo quindi alla ricetta Il morto di fame che ho dentro ha dei riferimenti gastronomici a Roma ben precisi. Sono stati consolidati nel tempo, con tentativi, piccole fregature ma sempre con la curiosità di chi ama scoprire dell'altro. In alcuni casi ho inconsapevolmente instaurato dei bei rapporti andando oltre il ruolo di cliente ma cercando piuttosto una comunicazione, un confronto fino ad arrivare a stringere delle relazioni davvero uniche. Legami fatti di brevi scambi di battute, di colloqui rubati a chi nel frattempo deve porre l'attenzione a più clienti (e non solo a me), scambi di pezzi di conversazione che nel tempo hanno permesso di collezionare minuscole tessere di un puzzle fatto appunto di parole e sguardi spezzati che però dal nulla hanno disegnato condivisioni fatte di stima ed anche di affetto. Così è stato per il bar che frequentiamo di solito, idem per la gelateria, così come per una osteria alla quale sono particolarmente legato. In questo giro di luoghi famigliari quindi c'è amche una pasticceria che ha in vetrina una torta di mele che mi ispira da sempre, fatta appunto con la frangipane. Quale migliore occasione quindi per testare anche una frolla salata "alterando" una base presa da Knam. Devo dire che con il bilanciamento della frolla ci ho preso alla prima, una gran botta di chiulo indubbiamente, motivo per il quale questa volta pubblico subito senza prima aver fatto almeno un paio di rifacimenti. La dolcezza della crema frangipane, l'acidità delle mele che si "arrostiscono" (quelle in superficie) e la punta salata della base si completano a vicenda lasciando la bocca soddisfatta. La glassa all'albicocca è fondamentale invece e non certo per l'estetica ma perchè al palato rafforza le sfumature zuccherine delle mele restituendole con un gusto maggiormente rafforzato e pieno. Rifarò questo dolce anche perchè la frangipane con la panna al posto del burro è notevole ed i benefici in termini di pesantezza sono altrettanto non trascurabili.
Ecco quindi i vari passaggi.

Crostata di mele con frangipane di mandorle e frolla integrale salata 

Parti della ricetta

Frolla;
Frangipane di mandorle alla panna;
Gelatina di albicocche;
2 Mele Pink Lady in lieve ritardo di maturazione;
6-8 amaretti di ottima qualità;

 Frolla Salata --> dosi per 900 gr.
250 gr. burro;
250 gr. zucchero semolato;
100 gr. uova;
7 gr. sale; zeste di 2 limoni bio;
10 gr. lievito in polvere;
100 gr. farina integrale macinata a pietra;
380 gr. farina 00;

 Preparazione della frolla a mano: Setacciamo farina e lievito sulla spianatoia, mescoliamo il burro freddo a pezzetti e, con una spatola o un coltello a lama lunga lavoriamo come per un battuto, fino ad ottenere un briciolame finissimo. Uniamo lo zucchero. Formiamo la fontana, versiamo al centro le uova battute con il sale, mescoliamo fino a che possiamo con una forchetta, poi spatoliamo trascinando l’impasto sul piano, rapidamente, fino ad incorporare tutta la farina. Infine, compattiamo con la stessa spatola o velocemente con le mani. L'ho lasciata in frigo per una notte.

 Frangipane di mandorle alla panna; per la frangipane alla panna con mandorla (Presa da MenuTutistico ma modificata):
170 gr. hg di panna liquida fresca;
200 gr. di farina di mandorle;
2 uova intere;
200 gr. di zucchero;
1 cucchiaio di pasta di pistacchio pura;
Unire tutti gli ingredienti in una bastardella ed amalgamare il composto con la frusta a mano fino a quando la crema sarà omogenea in densità. Stendere la frolla in uno strato non troppo sottile e foderarvi una tortiera precedentemente imburrata ed infarinata. Pennellare quindi con la confettura di albicocche o con la gelatina il fondo e sistemarci sopra prima gli amaretti sbriciolati, poi le fette di mela in modo regolare. Coprire quindi con la crema frangipane ed aggiungere altre fette regolari di mele cercando per quando possibile una geometria concentrica. Infornare a 180° per 85' minuti circa, finchè non sarà ben dorata e croccantina in superficie ma morbida al taglio. Lasciare raffreddare.

Una cottura così prolungata rischia di bruciarvi la frolla, che tra l'altro essendo integrale è anche meno "controllabile" a vista essendo scura di suo. Di solito dopo i primi 40 minuti rivesto la crostata con un foglio di alluminio che ne copre solo i bordi lasciando scoperta invece la parte centrale in modo da poter consentire una cottura uniforme e senza discontinuità evidenti. Spero vi piaccia. E'un dolce complesso al palato, malgrado si parli di mele e di crostata, ma di facile fattura che ha un riscontro notevole proprio per l'introduzione della frolla salata che sorprende piacevolmente così come la scelta di una farina integrale che restituisce ruvidezza estetica ma soprattutto di gusto :) La consiglio vivamente questa mia interpretazione un pò a chiulo della crostata di mele :) PS Sotto c'è anche la foto di una crostatina....dalle parti mie non si butta niente! :D




martedì 27 gennaio 2015

Cornettini integrali (pasta Danubio)


Natale quest'anno è stato diverso. Sì, diverso, è proprio la parola corretta.
La differenza con i Natali precedenti è evidente alla voce presenze, una sedia in meno pesa ed è per questo che l'ho improntato alla luce della normalità, del "facciamo tutto uguale senza cambiare nulla" magari preferendo una velocità accellerata per non avere alcuna occasione di riflettere. Una rincorsa, nessun giorno di ferie, cucina aperta h24, persone, baci, abbracci, si sputa stanchezza ma mai insofferenza, si ingurgitano vita e dolci come se non ci fosse un domani, una rincorsa presa come si deve e poi il salto, quasi spaziotemporale al 7 Gennaio con le occhiaie del sovrappeso e del Natale "marcato normale" come volevo che fosse.
Per questioni di merito e per esigenze strettamente ineludibili sono sempre stato laddove la ragione non mi avrebbe mai portato se solo avessi approcciato come sempre. E quindi...nel centro commerciale al chiuso l'ultimo Sabato pomeriggio prima delle festività con freddo e pioggia e fuori o in centro storico il primo giorno dei saldi con una giornata più che primaverile....è stato un pò come darsi appuntamento con una intera città per ritrovarsi in pochi metri quadrati tutti insieme appassionatamente, inebriati da un vivacità innaturale mista ad isteria con punte di solitudine collettiva davvero imbarazzanti per quanto palpabili anche da da una sensibilità mediocre come la mia. Questi bagni di folla però sono stati utili, per capire dove si spinge la moda, quali sono le tendenze attuali e quali potrebbero essere le future.
Sul fronte abbigliamento-giubbini devo dire che sono rimasto sorpreso dall'omologazione unisex, tipo esercito della selvezza con due marche in particolare, K-way e Colmar. Laddove non si osa con il metallizzato infatti c'è sempre il mimetico che ha grande successo. Entrambe i brand sono il minimo garantito per l'accettazione sociale estetica, relegando a posizioni più infime o di maggior pregio marchi di nicchia o finto alternativi.
Fin qui tutto nella norma, le tendenze non sarebbero tali infatti se non venissero seguite da una maggioranza con punte più o meno alte di resa estetica. Purtroppo però tra le mode del momento, quella femminile in particolare, si registrano anche dei veri e propri trend di sterminio di massa, quelli che ti rendi conto che sono inappropriati per il 99,99% delle possibili acquirenti. Uno di questi è il jeans a vita alta elasticizzato. Uno dei pregi fisiologici del jeans a vita bassa infatti è quello di disegnare una figura spezzata, donando un punto vita anche a chi non lo ha e chissenefrega se si paga con culi visibili a mezzo mondo o con visioni di perizomi sofferenti annegati in strati di morbide e fluttuanti chiappe. Un prezzo minimo se pensiamo al danno estetico dei jeans a vita alta su corpicini che dovrebbero essere ricoperti con palandrane per non ferire il bello interiore che ognuno di noi prova a somatizzare su figure che non dico sinuose ma quantomeno aggraziate nello stile se non proprio nella scelta dell'outfit (notato il termine figo che uso?). Chi parla è uno che ha messo 7-8 kg in questo periodo, che ha una panza che si poggia sul tavolo della cucina quando prepara una cena, che ha fatto un viso con 4 menti roba che Jabba a confronto è smilzo, uno insomma che rivendica la propria ciccia senza doverla rinnegare e senza per questo doverla umiliare in mode che non si addicono ad un corpicciuolo come il mio. Mai mi sognerei di mettere una camicia avvitata o leggermente aderente se non dovessi partecipare ad una festa in maschera vestito da respingente di peschereccio. Allora perchè, e sottolineo perchè, indossare, anzi calarsi in tessuti elasticizzati che disegnano irrimediabilmente cosce, sedere e vita ivi compresa la panza?!
Ma quanto costa comprare anche uno specchio oltre al giornaletto modaiolo che indica le tendenze del momento. Non voglio nemmeno discutere delle scarpe con plateau multistrato dark, una cosa difficilmente accostabile al concetto di femminilità visto che lo stesso si perde quando il 99% delle donne prova a camminarci. Ma la moda non è solo legata al mondo delle calzature o dell'abbigliamento, è anche nella forma di intrattenimento su strada.
Passata infatti la "magia" dell'indiano che mantiene sollevato con un solo braccio il compare "guru", che grandi folle ha intrattenuto con tanto di interrogazione parlamentare degli stessi politici che non capivano quale fosse il trucco, adesso c'è un ritorno almeno per Roma dei pittori con bombolette spray, quelli che con l'aiuto di qualche ciotola e di altri oggetti regolari, sfruttando la tecnica della sovrapposizione, vaporizzano su foglio dei magnifici "Colossei" con lune, galassie e cieli improbabili, che sfumano orizzonti alieni di terre improbabili ed ernie stilizzate su pianure marziane vuote, collocate nel nulla topologico ma che si conficcano benissimo nell'altrettanto vuoto cosmico delle menti altrui. E quindi eccoli lì, tutti intorno a guardare sti poveri diavoli che inalano veleno per 10euro a "quadro". E'chiaro che se incontrano il gusto dei più che ben vengano ma quanto mi mancano i "madonnari" quelli che ti sentivi in colpa se anche quando oramai avevano abbandonato il loro "dipinto", ci camminavi sopra per sbaglio. Qui non si tratta del magone di un vecchio rincoglionito (io), perchè sono sincero quando affermo che non soffro di nostalgia, quanto la mancanza di una certa "qualità" della vita. Ebbene si, anche i "madonnari" sono "qualità" quando li confronti con gli autori del Colosseo su un anello di uno pseudo-Saturno qualsiasi, perchè hai la netta sensazione che la società sia aliena&alienata nei gusti al punto tale di perdersi l'incanto di un dipinto da marciapiede con gessetti.
I ragazzi che raccolgono soldi ballando l'hip-pop negli angoli delle piazze sono invece il bello alternativo che si fa strada per compensare la cagata spray pochi passi dopo. Che poi giusto per dirla tutta, mi fanno ancor più pena quelli che fanno la fila nella gelateria o caffetteria 'à la page' per farsi coglionare sul piano del gusto in cambio di un selfie da postare su Fb su scenografia rinoscibile ma questa è tutt'altra storia e non vorrei inimicarmi troppe persone. La cosa strana di questo Natale quindi è che l'ho vissuto affrontandolo in tutti i suoi stereotipi tipicizzanti, come il passaggio al centro commerciale il Sabato prima della Vigilia o la camminata in centro il primo giorno dei saldi, con la famiglia riunita ed il cibo ingurgitato (nel mio caso i dolci) come se non ci fosse un domani intellettuale perchè in fondo faccio parte di questo flusso di mediocrità più di quanto possa pensare provando ad analizzarla dal di fuori, che non è oltre me, ma che è sempre me compreso..................."...porca di quella puttxxxx" :D

Passiamo quindi alla ricetta (genesi dell'idea e qualche dettaglio...).
In realtà è una rivisitazione dell'uso dell'impasto del Danubio per dei cornettini integrali che sono stati un pò il cavallo di battaglia delle ultime cene. Come arrivo all'ispirazione è semplice a dirsi.
Nel week-end abbiamo come appuntamento fisso il caffè in un bar in uno dei quartieri che più amo attraversare a piedi nella contr'ora (Monti), quando i più sono a smaltire i fumi soporiferi del pranzo. Bar, bistrot, ritrovo, quasi, per come è strutturato, caffè letterario dove servizio ed offerta sono sempre eccellenti, dove una pausa è un piacere che non si ferma alla bevanda o allo spuntino, dove chi gestisce ha sempre un sorriso da regalarti e dove per l'appunto ho adocchiato in tempi non sospetti dei cornettini integrali confezionati per l'aperitivo in modo così elegante e accattivante che il morto di fame che ho dentro non poteva non prendere spunto (in privato, per evitare critiche di pubblicità, anche se qui ci sta tutta, vi dico anche dove andare quando siete siete in zona).
Eh così un Lunedì mattina, dalla tazza dove partono tutte le decisioni più importanti della vita di un uomo, incurante della giornata che avrei affrontato sono stato illuminato da una luce che non era quello del faretto sullo specchio di fronte, ho udito una musica celestiale che non era il frastuono di una cascata d'acqua, ho avuto cioè....l'intuizione...la pasta del Danubio in versione integrale.
Rifatti per ben 3 volte di seguito, con batterie di 40-45 cornettini a volta vi riporto di seguito la ricetta finale, quella che anche a voi risulterà più che utile all'occorenza. Eliminate quindi l'immagine di me che penso sul trono e concentratevi sulla ricetta:

Cornettini integrali (Impasto da Danubio)
500gr di farina divise in 200gr. di manitoba e 200gr. di farina integrale e 100gr. di farina Garofalo W260;
150 gr. di lievito madre 'fresco di rinfresco';
50+20 gr. di burro "Occelli" o comunque un buon burro;
1 cucchiaino di malto (alternativa miele);
250gr di latte intero;
1 tuorlo ed 1 uovo intero codice 0;
10 gr, di sale;
10 gr. di zucchero;

Preparazione:
Per il lievito madre, la mattina che devo usarlo, tre ore prima lo rinfresco* e lo lascio a temperatura ambiente fino a quando non devo impiegarlo. La base di partenza quindi è il lievito madre appunto con un classico profumo di yogurt (non deve assolutamente avere note acidule al naso) sciolto nella totalità del latte (leggermente tiepido) ed il cucchiaino di malto (lievito). Lascio il composto quiescente per una ventina di minuti tempo invece che uso per sciogliere il burro (solo 50gr.) a bagnomaria in modo che si possa anche raffreddare. A questo punto miscelo in una ampia ciotola di vetro il lievito sciolto nel latte con la farina e poi progressivamente aggiungo prima il burro liquido (aggiunta fino al completo assorbimento di quanto versato) e poi l'uovo con il tuorlo al fine di ottenere un impasto abbastanza morbido (uso una forchetta solitamente all'inizio e poi procedo con le mani staccando il composto dalla ciotola e lavorandolo 'in aria'). L'impasto all'inizio potrebbe anche avere una consistenza avvilente l'importante è procedere con sistematicità con un movimento di riciclo che faciliti lo sviluppo della maglia glutinica. Alla fine si ottiene una palletta elastica e profumata. E' proprio a questo punto che continuo ad impastare mettendo ancora e progressivamente una 20 di gr. di burro aggiuntivo (questa volta non sciolto ovviamente) nelle mani che faccio assorbire quasi massaggiando l'impasto. In tutto ho impastato per circa 45' di seguito. Una volta terminato metto la pasta in una capiente ciotola di vetro unta con un velo di burro, la copro con pellicola per alimenti (la ciotola non l'impasto) e la lascio lievitare per 16-18 ore in frigo sul ripiano delle verdure. Al termine di questa fase tiro fuori la pasta e lascio a temperatura ambiente per quasi una ora (adesso fa ancora freddo) dopodichè procedo a ricavare tante strisce rettangolari alte poco meno di mezzo dito (il mignolo non il pollice!) e procedo alla formatura dei triangoli per poi ricavare i cornettini. Una volta formati tutti i cornettini riporli un tantino distanziati su stampi leggermente infarinati per l'ulteriore lievitazione di circa due/tre ore a 27°-28°. A fine lievitazione quindi spennelate abbondantemente con il latte (non necessario) e portate poi il tutto in forno preriscaldato statico a 180° (ripiano medio) e cuocere per circa 25-30' coprendo qualora la superficie esterna tendesse a colorire troppo. Attendere che si raffreddino e prelevarli dallo stampo. farcirli a piacere, nel mio caso salmone, fiocchi di latte greci e qualche goccio di olio.

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"Fresco di rinfresco" per me vuol dire che sono al terzo rinfresco consecutivo. Supponiamo cioè che voglia preparare i cornettini il Sabato (infornarli intendo). Il Mercoledì sera faccio il primo rinfresco al lievito e lo metto in frigo. Il Giovedì sera faccio il secondo rinfresco al lievito e lo metto in frigo. Il Venerdì faccio il terzo rinfresco ed invece di riporre il lievito nel frigo lo lascio a temperatura ambiente per tre ore, dopodichè lo uso per l'impasto che metto a lievitare tutta la notte (sempre in frigo) e che uso il giorno dopo (Sabato)per preparare il danubio.