martedì 22 novembre 2016

Zuppa di cipolle, farro e gambetto


Da poco, per cambi logistici lavorativi frequento una mensa aziendale di quelle da numeri irrazionali. L'idea di refettorio da società degli anni 70' per capirci mi si è parata di fronte in tutta la sua vitalità e funzionalità disseppellendola da un oblio dove avevo rinchiuso alcune realtà organizzative datate per concezione e per valore proposto.
Le file bibliche dalle 12:30 fino alle 14:00 non sono un deterrente per nessuno. L'esodo crea imbarazzo ma non scuote le semplici menti tra le quali la mia. Manca solo lo scampanellio, il gregge è formato, un gregge però che si faccia attenzione, parte pecora ed impiegatizio con punte di nobiltà dirigenziale ma nel lento incedere fino all'ingresso delle aree ristorative diventa scortese, sgraziato, dando evidenza di modi disarmonici ed aggressivi con accenni di famelica villania mista a nonsense barbarici.
Le cinque aree tematiche gastronomiche nell'open space dai colori ospedalieri sono in realta postazioni fortificate dietro banchi esagonali metallici protetti da merlature d'alluminio che solo apparentemente agevolano la distribuzione del vitto. La fila per prendere il vassoio con la tovaglietta cartacea è anche un addio all'ultimo barlume di umanità poi c'è il mare aperto. Le prime due isole difensive che si incontrano sono quelle dei Primi e della Insalate\Frutta, rispettivamente a destra e sinistra. Ai Primi, solitamente si alternano alcuni dipendenti scelti tra i veterani della guerra nel Golfo per manifesta abilità alla sopravvivenza in condizioni estreme. Alle spalle, le funeree cucine dalla quale fuoriescono vapori sulfurei micidiali per temperature e per profumazioni, davanti dopo la trincea esagonale dei banchi l'aggressività del branco impiegatizio&licantropo. C'è sempre una pasta o del riso in bianco, una zuppa ed un paio di alternative formalmente più complesse ma solo per l'aspetto descrittivo. La pasta lunga tipo spaghetti ha il pregio di essere sollevabile secondo volumi fissi visto che la schiumarola con la quale viene presa consente matematicamente di servire sempre gli stessi dischi di 15-18 cm con spessore dipendente dalla densità colloidale del sugo adottato. I tris di verdure proposti invece in piatti ovoidali hanno temperature vicine allo zero termico il che giustifica la pigmentazione appetibile....peccato per l'aspetto masticabilità. Colori sfocati e tendenti al grigio invece, per i medesimi piatti garantiscono invece la bevibilità delle verdure che quando scongelate a dovere al sollevamento della pellicola trasparente (messavi a protezione di cotanta fragilità gastronomica) assumono consistenze acquose\liquide. Probabilmente l'idea dei centrifugati vegetali ha preso spunto proprio in una mensa laddove la disperazione gustativa ha trovato una sua diversa rivendibilità. C'è poi il blocco dei secondi, del piatto unico, quello della pizza ed infine la zona grill. All'esagono dei secondi gli effluvi rimandano sempre a carni bianche. C'è bisogno dei RIS per capire la differenza tra un petto di pollo ed un trancio di merluzzo ma questi sono dettagli così come il record della patata al forno la cui fettina nel piatto con 16cm di sezione in lunghezza (misurata con metro di carta dell'Ikea durante il pranzo nell'ilarità dei tavoli che ci circondavano) segna un record inarrivabile fino ad ora. 'Piatto unico', 'pizza' e 'grill' sono avamposti che non meritano spreco di parole alcuno sono l'eutanasia di qualsiasi tentativo "cuciniero", il buio della razionalità nel mondo del possibilmente-masticabile. Me compreso, il materiale umano non è che sia migliore. Nel personale di servizio si distingue un addetto allo sgombero dei carrelli multi-ripiano dove sono lasciati i vassoi usati non ripuliti. E'un uomo non più giovanissimo, smagrito, dal viso consumato, piccolo, spigoloso nel fisico e nello sguardo. Prende due carrelli alla volta, mettendoli uno dietro l'altro come fossero un treno e poi sgraziatamente inizia la sua ingombrante corsa attraverso il grande corridoio che perimetra in lunghezza tutto l'open-space per portarli a destinazione nell'area smaltimento. Lo fa nel pieno del trambusto. Non si ferma per nessuna ragione al mondo, intima un infastidito e cupo "attenzione" che non è urlato ma è ficcante come pochi suoni al mondo potrebbero esserlo. Tutti a quell'avvertimento si spostano\scanzano consapevoli che quell'esclamazione non ammette contraddizioni. Non c'è drammaturgia se vi dico che ha le fattezze di un attuale Caronte, con sguardo e toni dalla remissività inquietante. Gli avventori però non sono da meno e ripeto io in primis. Mi aggiro tra le "isole gastronomiche" con aria spaesata e demente. Scelgo sempre lo stesso piatto, un tris di verdure ma continuo a guardare in tutti i vasconi nella speranza di un miracolo che so non arriverà mai. Torno indietro, indugio, faccio finta di pensare, mi allontano non appena un addetto incrocia il mio sguardo anche solo per errore. Mi assento in quel mare magnum di umanità ricomposta che si scavalca con contegno e recalcitra in fila con il sorriso da matrimonio che nasconde invece l'imprecazione a denti stretti. Giacche&cravatte, tailleur e cosmetiche espressioni tirate si affacciano quindi ai tavoli gestendo il vassoio imbandito con nonchalance, intavolando discussioni interessate e distaccate, accanendosi all'occorrenza su una coscia di pollo, quest'ultime tutte perfettamene uguali tra loro, dalle proporzioni degne di un canone anatomico greco, il Canone di "Pollicleto" direbbe certamente il mio amico Fabio... Donne in carriera con visi unti da creme anti-age su labbra unte di rossetto ed olio dei sughi, uomini dalla vita stretta e lo stomaco pronunciato che ghignano rubicondi su piatti di pasta a monticello, giovani palestrati con il loro carico proteico senza la michetta sul vassoio e consulenti-operai di fornitori esterni che si rifuggiano in una spontaneità conviviale dovuto ad un nulla da perdere progettuale e\o contrattuale. Quest'ultimo aspetto imbarazzante per non dire mortificante. La mensa è uno dei pochi posti dove la mia passione per il cibo regredisce fino a diventare una forma di stizza incontrollata che sublimo lobotomizzandomi fino all'ebetismo conclamato. Riflettendo a mente fredda, trovo che non è il cibo l'aspetto discutibile quanto l'approccio umano. Quest'ultimo quasi disgusta.
Sì che si tratta di mensa aziendale ma vedere volti che portano il cibo alla bocca a ripetizione senza prendere fiato come una automa a stati infiniti di insensibilità mi fa ricredere non sulla dignità della cucina presentata quanto della specie che rappresento.
Bisogna saper mangiare ovunque e comunque, la versatilità e la mancanza di fighetteria televisiva vanno bandite così come l'assenza di rispetto verso una esigenza primaria che solo in assenza di cultura o di disponibilità diventa atto di sopravvivenza. Eccomi quindi all'uscita della mensa, anche io nella fiumana che si travasa dall'OpenSpace al bar senza mai vedere la luce perchè ogni dettaglio della catena di montaggio è studiata nei particolari, la penombra facilità la permanenza in quell'oblio. Manca la giacchetta e la coppola per essere il Fantozzi da refettorio aziendale anni 70, per il resto mi sento orgogliosamente lui nel ritrovarmi sorridente in gruppo ad aspettare il caffè ascoltando racconti improbabili di colleghi che vivono per approvazione da gruppo e per quel finto conviviale, tra una whatsuppata e l'altra.
Nel tornare a casa non posso non pensare alla frittata di cipolle e ad un birra gelata da consumare davanti al reality di turno...il "doh" ripetuto in loop è solo il cortocicuito naturale tra Fantozzi ed Homer...perchè io modestamente "lo sono entrambi" :)

Dedicato a Mirella :) 

Mai ricetta fu più indicata per segnare un ritorno.
Non è una vera e propria preparazione ricercata, l'ho fatta per caso la prima volta e poi l'ho ripetuta ogni settimana fino a capire che andava in qualche modo "imprigionata" nel blog con un procedimento standardizzato pur nel suo non essere dettagliata al grammo. Non c'è una intuizione geniale alle spalle quanto una idea che ho fatto mia che ha una sua resa ben identificabile nella zuppa, frullare il farro per ridurne la granularità sino ad ottenere uno sfarinato decisamente grossolano. Fare un brodo a parte è solo un modo per avere il controllo della sapidità e della cremosità della zuppa visto che qualità delle cipolle e tempi lunghi di cotture non permettono di fissare a priori il quantitativo dei liquidi da usare.

Passiamo quindi ai fatti..

Zuppa di cipolle, farro e gambetto (per 4 persone)
1,5 Kg di cipolle rosa (del tipo di Bassano), in alternativa una cipolla che sia dolce;
300 gr. gambetto di prosciutto dolce (per me di Parma);
3 cucchiai pieni di farro (decorticato per una maggior quantità di fibra) sminuzzato con un blender in più riprese;
Un paio di gambi di sedano ed un paio di carote + una carota piccola, una cipolla piccola ed un gambetto di sedano per il brodo di prosciutto;
Tre cucchiai di concentrato di pomodoro o in alternativa una buona conserva di pomodoro passato;

Preparazione
In una pentola con fondo antiaderente spessa faccio appassire in olio extra vergine di oliva (max 4 cucchiai scarsi) le cipolle tagliate piccolissime, le carote alla julienne, il sedano, anch'esso tagliato finissimo, cuocendo a fuoco basso e rigirando spesso con un mestolo di legno. Lascio andare per circa una 30' a fiamma lentissima facendo amalgamare il tutto. In parallelo, faccio la medesima operazione con la carota piccola, la cipolla ed il gambetto di sedano, facendo andare per una quindicina di minuti, terminati i quali, aggiungo 4-5 litri di acqua calda, i due cucchiai scarsi di concentrato di pomodoro ed il gambetto tagliato a pezzettoni ripulendolo delle parti di grasso in eccesso (in pratica questo è il lavoro più seccante e lungo se fatto con scrupolo).
Questo è il brodo di prosciutto che userò progressivamente, aggiungendolo alla zuppa.
Dopo una mezz'ora buona quindi aggiungo qule che resta del concentrato di pomodoro (un cucchiaio scarso), il farro ed i primi due mestoli di brodo di prosciutto avendo cura di non prendere il grasso che è affiorato nel frattempo.
Cottura 5 ore, a fuoco lentissimo, rigirando spesso ed aggiungendo man mano il brodo caldo quando la zuppa tende ad asciugarsi. L'uso di una pentola in ghisa è particolarmente apprezzato in questo caso e non per fighetteria quanto per maggiore facilità ad usare una fiamma bassa sfuttando al massimo le capacità conduttive del materiale.
Visto l'uso del prosciutto, la correzione con sale è in qualche caso d'obbligo ma lascio alla vostra prova d'assaggio la valutazione in merito. Inizialmente avevo anche pensato di frullarla la zuppa ma vi assicuro che le cipole in bocca si disfano dando una consistenza morbida, avvolgente con questa granularità accennata del farro che da consistenza e sostiene la dolcezza delle cipolle. Il pezzetto di prosciutto è il finale goloso.
Servire tiepida con un giro di olio a crudo e del bel pane caldo, magari fatto a casa. Il Chianti Classico Badia A Coltibuono è il vino ideale, almeno per me, per la sua freschezza e per un ritorno minerale che compensa la dolcezza della zuppa. Fatemi sapere...in fondo...si prepara quasi da sola questa zuppa...




martedì 3 maggio 2016

LSDM - Le strade della (possibile) meraviglia


LSDM - Le strade della (possibile) meraviglia

 Ci vuole tempo, le immagini sedimentano, le prime considerazioni macerano sulla coda dei consuntivi altrui (più foto che contenuti in realtà) perchè non feriscano troppo, così come è un obbligo far decantare i complimenti perchè non richiamino inchini o ancor peggio distaccati formalismi.
I sorrisi da fine festa, il rituale dell'approvazione e del gradimento si perdono nel rumore di fondo della prossima manifestazione in agenda.
Quanto resta nel panierino della propria esperienza inizia così anche ad avere anche un contorno delineato, a maggior ragione che non ho alcun ulteriore appuntamento da qui a sempre.
L'idea di soffermarmi su quanto si è attestato sopra le righe è forte, schernire mi riesce bene anche perchè non ho vincoli ne correità di alcun tipo.
Potrei partire dal supplizio del silicone, delle "boccucce a becco di papera" che spengono la mia eterosessualità più di quanto non faccia la demenza senile, passando per le ciglia rifatte di un pizzaiolo che sono l'antimateria dell'universo gastronomico che rappresenta, così come i vezzi modaioli di alcuni\e, caricature di se stesse\i consumati nel vuoto pneumatico di sguardi malinconicamente soli, alla ricerca di un riconoscimento, non importa quale sia la valenza dell'apprezzamento, purchè stimolino una reazione (e non vado oltre).
Magari potrei osare descrivendo psudo associazioni di appassionati che scimmiottano il lavoro giornalistico (uccidendo il vero giornalismo...) che è lontano nella resa quanto lo sono gli intervistatori dall'uso dell'italiano, senza voler scendere poi nel dettaglio intellettuale, il fosso delle Marianne cognitivo in versione flufflosa o petalosa che dir si voglia.
Non insisterò su questi temi, salto anche la storia delle precendenti edizioni, non essendoci stato non ho nostalgia di qualcuno o qualcosa, per tanti il passato non-amaro è sempre meglio di un presente contingente da vivere con personalità ed infine non mi soffermo nemmeno su chi invece dovrei ringraziare per avermi coinvolto, per esserci stata\e come tutors organizzative e non da meno affettive, come quando si lascia un fratello minore per la prima volta davanti ad una classe ed una scuola nuova.
Ed allora preferisco elencare quanto di pregevole (e che sa di futuro...) ho vissuto in prima persona con la sola premessa che non tornavo in queste zone da circa 20 anni.
Inizio da Gabriel Zuchtriegel, un giovanissimo direttore del parco archeologico di Paestum. Tratto teutonico e luce mediterranea negli occhi quando sorride. A parlarne bene non sono io ma alcuni addetti ai lavori (non gastronomici) del settore, l'agenda di eventi messa in campo, le manutenzioni pianificate...fino ad arrivare al portiere di notte dell'hotel dove ero, che poi ho scoperto essere anche il proprietario della struttura, che alla luce tenue di una hall deserta mi accenna con amor proprio:"...mai prima d'ora siamo stati così contenti della gestione dei templi e del museo, questo direttore sta facendo cose nuove, per Paestum per Capaccio e per quelli che lavorano nell'indotto turistico, dalla manutenzione alla logistica". Piccola nota a margine, l'hotel non è quello usato abitualmente dai partecipanti a LSDM...e quindi un parere non di parte, la mia presenza in loco invece un caso fortuito frutto di un disguido tutto sommato felice.
Si, forse da geriatrico osservatore di alcune dinamiche (commerciali e non) confesso che sono uscito da LSDM sollevato per aver (intra)visto una nuova generazione con progetti concreti, piccoli sogni, talenti acerbi e l'entusiasmo che difficilmente si scorge nelle nuove leve.
Se i "figli di" hanno lavorato alacremente dietro ai fornelli, c'è da dire che tanto hanno ancora da dimostrare a capo basso ed hanno di che sudare se vogliono dare continuità alle mani levigate dal sacrificio di chi ha costruito prima. Il cognome com-porta un rispetto temporaneo, c'è riconoscenza per l'eredità culturale...ma sulla resa "next generation" l'incognita è uno stimolo ed un atto dovuto allo stesso tempo.
Un plauso particolare va ai volti giovani della pasticceria invece. Qui faccio i nomi invece perchè umiltà, talento e trasparenza sono stati il vero biglietto da visita dei ragazzi del Collettivo di Cucina Dolce Italiana, Pass121.
Pur non avendo sempre avuto un accesso diretto in degustazione ai loro laboratori, Daniele Bonzi, Antonino Maresca e Galileo Reposo (quelli incrociati) quando approciati per chiarimenti o dubbi sono stati professionali e nonostante l'affollamento degli astanti ed i fotografi compulsivi (quelli che immortalano anche le cagatine di mosche per intenderci...) sempre disponibili al dettaglio aggiuntivo ed anche al confronto visto che sia Maresca che Reposo hanno approfondito alcuni passaggi con una precisione ed una trasparenza che non è da tutti (ho usato il singolare perchè a far domande in quelle occasioni ero quasi sempre solo...tutti troppo intenti a fotografare le decorazioni, le forchette, i cucchiaini sporchi, i fazzoletti "smucciati" di un cameriere raffreddato, i peli del naso della fidanzata dello chef....o a far selfie con il banco espositivo allestito e lo chef al lavoro sullo sfondo....perchè bisogna pur rempirle 'ste bacheche dei social o no?! :D ).
La zampata dei leoni di lungo corso non è mancata però, due su tutti quelli che hanno attirato la mia attenzione acquisendo stima e rispetto quantomeno per l'approccio avuto.
Enzo Vizzari, un indomito e divertente sparring partner dei cuochi presentati nelle due sale-auditorium della manifestazione. Provocava e colpiva senza mai affondare lo chef di turno, lo blandiva e lo punzecchiava generando curiosità nel pubblico e regalando in alcuni casi prospettive inedite dei "personaggi" costretti a venire allo scoperto da quella altalena dialettica molto finemente articolata anche se con modi e toni sottotraccia, uno spettacolo nello spettacolo insomma. Infotainment si chiama oggi, e ben fatto pure, se solo penso a certi chef ed alla loro filosofia snocciolata dal palco come se fosse una religione...due palle di dimensione planetaria...semmai anche agevolati dal moderatore o dalla moderatrice compiacente ed intellettualmente china (per non dire diversamente-acuta :) ....).
E poi il patron della Azienda Agricola San Salvatore, Giuseppe Pagano, un deus ex machina in carne ed ossa come se ne incontrano pochi in vita.
Parliamo di vino, non di altro, la premessa mia (un nanosecondo dopo la stretta di mano) è che ne compro non più di 16 bottiglie l'anno (delle sue). Mi chiede che lavoro faccio. In meno di un minuto netto Giuseppe Pagano mette a fuoco la mia totale inconsistenza commerciale e la mia acclarata nullità sul fronte marketing...eppure mi dedica tempo, anzi ci dedica tempo...perchè le banalità umane che lo ascoltano sono due (io&mio cugino, la rivisitazione italica&meridionale di Scemo+Scemo).
Per uomini del genere il tempo è prezioso, non si spreca, è un mancato fatturato o una ridotta crescita personale e quindi mi chiedo ancora oggi se non sia da stimare anche in modo sinceramente affettuoso chi riesce a trovare minuti di confronto per due indifferenziati umanoidi quali quelli che si è trovato davanti (sempre io&miocugino).
Mi congedo io...e mi sarei aspettato il contrario, insomma il carico di meraviglia per un personaggio così è davvero di quelli ancora da decifrare, da perimetrare...quella luce negli occhi la conosco...la hanno in pochissimi.
Riparto quindi per casa, sotto il sole di una terra che ha ancora tanto da (di)mostrare e con gli ultimi fuochi ancora da sparare.
LSDM è un evento che deve crescere, non importa chi vi sarà dopo, conta però che ci sia un dopo qualitativamente e culturalmente rilevante, ancora di più.
Il mio grazie e qui mantengo la promessa (per averlo fatto in altro modo) è solo per coloro che creano economia sana laddove sano e soprattuto economia, dalle mie parti, sono due astrazioni più vicine al miracolo di San Gennaro che ad una possibile tra le realtà costruibili (Peppe, uno di quelli).
Sarà chiaro il perchè quindi pubblico la foto di un prato laddove giorni dopo ho intravisto gli organizzatori vagare malconci, con sguardo pallato ed in stato catatonico perchè è importante che quel pratone abbia un futuro....di prato così com'è adesso o di consapevole economia come quella di un amico prete conosciuto qualche anno fa, anche lui sotto mentite spoglie.
Per chi viene da una terra (anche a vocazione turistica) dove d'inverno gli stipendi non arrivano il mio chapeau e la mia ammirazione non possono che andare a chi fonda realtà economiche scalabili, referenzianti per modello, capaci di dare valore a quanto abbiamo avuto sempre sotto gli occhi e non abbiamo mai avuto la forza o l'intelligenza di costruirci intorno.
Sono un deficiente a pensarlo...forse...ma quel prato vicino ai templi (in foto) che ho attraversato a piedi era ed è così bello che è un dovere crederci :)

PS
Grazie ai compagni di viaggio che mi hanno sopportato&supportato nella mia ingombrante idiozia...
Citati in ordine sparso...Pasqualina, Rino, Bruna, Cristiana, Teresa, Patrizia, Mariella, Rosaria, Maria, Annaluisa, Fabio, MariaGrazia, Ornella,...

martedì 26 gennaio 2016

Casarecce, bufala, Salella, pane croccante e papaccella

Quando la mozzarella l'hai dentro gli occhi, tra i propri sapori e non puoi fare a meno di ripensarla...LSDM 2016 è solo un alibi.
pasta-e-mozzarella-veggie-style

Eccomi qui nuovamente. Alla seconda ricetta presentata evito il pippone sulla personale visione della cucina. Avrete letto l'altra premessa e quindi riponete con fiducia la scatola di Moment che avete in queste occasioni.
Per il piatto in questione, ripeto, LSDM ha fatto solo da volano perché nasce per il più classico dei: “non si butta niente!". La crema di mozzarella era avanzata da una precedente ricetta, due papaccelle in frigo chiedevano l'oblio della monnezza piuttosto che la sofferenza di una sopravvivenza ai limiti della dignità alimentare, aggiungiamo il fatto che una combinazione astrale ha voluto che in quel frangente l'unico neurone sano fosse anche sveglio e quindi alla fine ho aggiunto solo del buon senso. Le olive ammaccate Salella per chi non le conosce sono una chicca cilentana dal sapore inequivocabile per pienezza di gusto tanto più quando conservate nel loro olio. Una combinazione colorata, di effetto visivo ma con una concretezza (e croccantezza) tale da farsi ricordare a lungo.
La ricetta l'ho messa a punto definitivamente al terzo rifacimento (numero quasi standard per me) in modo da avere quei dosaggi per fissarne la replicabilità nel tempo, senza perdere lo spunto iniziale che tanto fa sentire orgogliosi del momento "creativo"e ch diventa poi solo un bel ricordo perchè manca il riferimento quantitativo preciso :)
 La descrizione dei sapori insieme invece la evito volutamente chi conosce questi ingredienti una idea "al palato" se la sarà già fatta.
Solo come nota aggiuntiva, questo non è un primo piatto (siamo al massimo sui 35 gr. di pasta a porzione) ma è il classico ponte verso il secondo con l’uso della pasta come legante. Potrebbe essere anche un primo di entrata verso un piatto più strutturato e complesso….

PS
L'uso "acconciato" di ingredienti avanzati è un vero atto di affetto per la cucina dove la cultura diventa mezzo per modellare qualcosa di buono laddove altri intravedono solo un errore nell'approvvigionamento o nel consumo. Cultura, si, non (solo) quella dei libri ma quella del rispetto di ciò che si ha :)

Casarecce, bufala, Salella, pane croccante e papaccella
Difficolta: 2-3 (indicare un numero da 1 a 4 dove 1 sta per molto facile, 4 per complesso)
Ingredienti per 4 persone:
130 gr. di pasta tipo “Casarecce dei Campi”;
5 papaccelle sott'aceto (mediamente di 85-90 gr. l'una) se non si dispone delle fresche che sarebbe meglio;
250 gr. mozzarella di Bufala Campana DOP (di due giorni reali dalla sua realizzazione);
180 gr. ricotta di bufala scolata con gli appositi cestinetti;
30 gr. olio extravergine di oliva fruttato per emulsionare;
12-15 gr. di pangrattato a piccole briciole (non sfarinato);
20 gr. olive Salella ammaccate del Cilento sott'olio (Presidio Slow Food);
5 gr. di ottimo concentrato di pomodoro;
5 gr. di aglio;
1 fetta di pane (nel mio caso ho usato il pane che faccio io con farina semintegrale, semi di lino e di zucca);
Olio extravergine di oliva*,
origano e sale specificato nei singoli passi;

Preparazione di base per la pasta
Mettere a scolare le olive Salella raccogliendo l'olio in un piatto;
Incidere le papaccelle sulla parte alta, avendo cura di farlo in modo preciso per le 4 che useremo come incavo per la pasta. Rimuovere i semi all'interno e passarle sotto l'acqua corrente fredda. Metterle quindi in acqua e ghiaccio per 2 ore almeno avendo cura di cambiare l'acqua ogni 30 minuti circa, per eliminare quanto più e possibile l'aceto, lasciandole al tempo stesso belle sode (questo nell'eventualità non si avessero a disposizione le fresche).
A seguire scolarle asciugando all'occorrenza con carta assorbente.
Delle 5 papaccelle così pulite prendiamo la meno bella esteticamente e tagliamola a pezzetti. Nel frattempo in una padella antiaderente scaldare 50 gr. di olio evo dove in precedenza è stato messo in infusione l'aglio ridotto a lamelle sottilissime (infusione di una ora). Portare quindi l'aglio a leggerissima coloritura bionda ed eliminare dall'olio.
Aggiungere ad olio caldo la papaccella tagliata a faldine, frullare e lasciare in infusione per una 30' con un pizzichino di origano. Passare l'olio aromatizzato allo chinois, aggiungere le olive Salella e mettere da parte.

Bottoncini di pane croccante
Ricavare da una fetta di pane dei bottoncini di 1cm di diametro e 1/2 cm di altezza.
Ungere con l'olio scolato dalle olive Salella.
Metà dei bocconcini spennellarli con il concentrato di pomodoro. Porre su carta oleata in forno a 120° per 20' (il tempo per renderli croccanti è indicativo perché dipende da quanto il pane è fresco); Lasciare raffreddare.

Papaccelle croccanti
Ungere le 4 papaccelle che faranno da incavo per la pasta usando un pennello da cucina. Passare al microonde funzione "crisp" per 7' totali, avendo cura di girarle a metà cottura. Salarle e mantenerle al caldo;

Crema di mozzarella di Bufala Campana DOP
250 gr. mozzarella di Bufala Campana DOP (di due giorni reali dalla sua realizzazione) prelevata dal suo liquido di governo ;
180 gr. ricotta di bufala;
30 gr. olio extravergine di oliva fruttato;

Preparazione
Tagliare la mozzarella in sfilacci, mescolare con la ricotta e riscaldare il tutto nel microonde a 350w per 3' minuti. Frullare quindi nel mixer emulsionando con l'olio versato a filo. Mantenere al caldo.

Preparazione piatto
Portare a ebollizione 2 litri di acqua con 25 gr. di sale scarsi. Cuocere la pasta per 5 minuti, scolarla e passarla velocemente in padella dove avremo aggiunto l'olio aromatizzato con la papaccella e le olive ammaccate. Aggiungendo i 12 gr. di pan grattato, saltare a fiamma viva la pasta per un paio di minuti (2').
Con un cucchiaio riempire quindi le papaccelle. Considerate che ogni papaccella conterrà al massimo 12-15 casarecce, quindi regolarsi di conseguenza senza pigiare troppo (30 gr. di pasta in media). Impiattare mettendo un fondo di crema di mozzarella, appoggiando la papaccella ripiena di casarecce al centro, completando il top della pasta con un paio di olive ammaccate ed inserendo nello spesso strato di crema 4 bottoncini croccanti, due al pomodoro, due bianchi.

Note 
Olio extravergine Elaià della Tenuta Colline di Zenone (olive pisciottane, autoctone del Cilento), scelto per la nota fruttata accennata che non si sovrappone alle Salella ma che invece le esalta aggiungendovi, in modo complementare, note ulteriori del territorio;

Padelle usate, in alluminio antiaderente per una ottima ed uniforme distribuzione del calore. Quando si salta la pasta con il pangrattato è fondamentale avere omogeneità di calore per consentire alla cottura di essere completata senza difformità di sorta.