martedì 7 settembre 2010

Taralli al burro e finochietto














Lungomare cittadino in piena estate. Domenica, tardo pomeriggio. Procedo a passo veloce pensando alla funicolare che mi riporterà a breve a casa, lontano da quella morsa di umidità e aria immobile che il mare rende ancor più insopportabile nell'ingannevole prospettiva accarezzata da molti di poter invece godere di una sua leggera brezza.
Marciapiede invaso dalle persone, coppie, gruppetti di ragazzi con gli scooter a far capannelli, carrozzine, gelati sciolti e chiacchiericcio diffuso. La strada ai margini della zona pedonale soffocata nel traffico di chi non ha trovato ancora parcheggio. Visi in-sofferenti per quello status di stallo che in una grande città potrebbe anche non essere del tutto temporaneo.
Sono lì di passaggio, ho altro per la mente in settimana ho un esame e non riesco ad allontanarmi dalle mie abitudini che in quel momento mi vorrebbero insieme agli amici in una stradina a fondo cieco del mio quartiere a discutere di ragazze o di calcio. Avvolto in riflessioni senza contraddittorio attraverso quel fiume in lento movimento, avendo come unico obiettivo quello di non perdere la 'corsa' delle 18. L'abbonamento lo ho...se mi concentro non avrò difficoltà ad essere a casa molto prima delle 19, poi si vedrà.
Motore della mia celerità appunto qualche piccola impazienza solo parzialmente giustificata da un ansia pre-esame.
Ultimo tratto di lungomare poi attraverserò la Villa Comunale e con un paio di scalinate raggiungerò l'agognata funicolare che qualcuno scherzosamente ha ribatezzato tram-a-muro.
Ad un tratto mi sento chiamare. Mi giro non vedo nessuno. Non sarò io. Ancora il mio nome fatto ad alta voce. Non sono l'unico a girarmi poi dal muretto antistante gli scogli metto a fuoco un tipetto che mi sorride. Non posso fare a meno di fermarmi e tutto sommato non mi dispiace. Ci siamo conosciuti durante un tirocinio in una associazione no-profit, è una ragazzo davvero in gamba.
Stranamente è vestito con cura o quantomeno ci ha provato. Si intuisce che ha perso del tempo davanti allo specchio.
Mi abbraccia come se non ci fossimo visti per un lustro, mi vuole bene e lo so ma è più elettrico ed affettuoso del solito. Si gira per un secondo dandomi le spalle come a cercare un consenso invisibile che non individuo, poi torna a guardarmi con aria furba, la sua, quella che mi risulta più familiare appunto, mi fissa ancora per qualche secondo. Ha gli occhi che brillano di luce nera e vivida, mi prende per l'avambraccio e dice sorridendo nervosamente:"...devo presentarti una persona!".
Capisco subito è la ragazza. Stanno insieme da 4 o 5 mesi. Nelle settimane precedenti me ne aveva accennato ma con fare lontano dal suo atteggiamento abbastanza ruvido, oserei azzardare dicendo quasi con modi dolci. A suo modo lo era, anche se di rado.
G. infatti è un ragazzo di strada, cresciuto in un vicolo senza molto sole ne grandi prospettive, alcune 'aperture' quindi le ha sempre centellinate quasi a vergognarsene. Un lusso per certi versi ma è comprensibile.
Guardo meschinamente l'orologio, la funicolare è andata ma ad onor del vero quell'incontro inatteso mi ha messo di buonumore. G. distraerebbe chiunque, è intelligenza e furberia insieme, ingenuità e cattiveria.
Capace di rubare uno scooter in pochi minuti ma anche di un sorriso disarmante di quelli che annullano con un colpo di spugna ogni precedente malizia. Non è un tipo costruito e non potrebbe essere diversamente ma tiene tutti a distanza. Sa di essere capace anche in ciò che non si dovrebbe saper fare e questo è non 'un', ma 'il merito' che gli consente una certa libertà in un quartiere critico che lo avrebbe altrimenti soffocato. Ne è cosciente ed è la sua forza, l'asso nella manica che gli garantisce l'indipendenza da ben altre morse dalle quali non ci si libera mai.
In certi vicoli o si è figli-di-buona-donna, lo si dimostra e con quello si tengono a bada (se si vuole) affiliazioni senza ritorno o si prende a prestito la forza di altri soccombendo però alla rigida legge dell'appartenenza che nega la possibilità di poter decidere, nel bene e nel male, per sempre.
G. è un fiume in piena. Mi presenta la ragazza, lei poche parole di circostanza, lui completamente 'andato' con un sorriso ebete innamorato. Prendiamo un gelato insieme, vuole offrirlo a tutti i costi, non ascolta ragioni. Diamo vita ad un teatrino divertito per entrambi, alla fine cedo in quel gioco di rimandi apparentemente senza fine.
Trascorro una sorridente mezz'oretta seduto sul muretto ad ascoltare due innamorati.
G. mi raccontava di quando aveva trovato il coraggio di farsi vedere dal padre di lei, la mamma già sapeva invece, le ultime domeniche passate insieme a pranzo...e poi le impressioni e tutti quei piccoli episodi strapparisate tipici dell'impaccio di chi si è innamorato cascandoci con tutti i piedi. Ci siamo salutati come persone della stessa famiglia, con G. in ogni caso ci saremmo rivisti durante la settimana.
Li ho lasciati mano nella mano e sono tornato a casa alle 20.30 senza dare tanto peso all'episodio. Eppure qualcosa non mi tornava. A ripensarci era lampante ma avevo sottovalutato la pur evidente contraddizione della faccenda che per qualche motivo avevo erroneamente anche io bollato come "normale" quando non lo era affatto.
Quella sera che mi ha offerto il gelato G. aveva compiuto da poco solo 12 anni (io poco più che maggiorenne).
Ancora oggi, quei due anni passati insieme faccio fatica ad inquadrarli.
Ricordarlo come un ragazzino in affidamento o un 'adulto' al quale ero stato affidato io?


Passiamo ora alla ricetta.
I taralli (biscotti) al burro di Agerola, chiamati anche in modo inesatto freselle (trattasi di versione infatti più ricca per l'aggiunta di burro e semi di finocchietto) fanno parte del mio bagaglio di gusto e sapore, quello più legato appunto ai luoghi dove ho trascorso parte dell'infanzia e dell'adolescenza e dove tutt'ora non manco di fare una scappata quando posso.
Troppi ricordi e troppe sovrapposizioni di immagini non rendono giustizia a questo cibo elementare eppure imprescindibile se pensato abbinato ai pomodori della zona, a poco olio buono, un pizzico di origano e di sale e ad un fiordilatte da lacrime.
Il resto è superfluo.
I taralli al burro sono la lente focale attraverso la quale poter valutare gli accostamenti semplici dell'estate. Dal ruolo secondario, di base appunto fanno rimpiangere il loro carattere solo apparentemente comprimario quando sono sostituiti da fac-simili ricavati da farine troppo raffinate e da pochi grassi fin troppo riciclati.
Li ho rifatti prendendo a riferimento la ricetta di Tinuccia. Chi è passato per il suo blog sa che parlo di una bravissima cuoca capace di impastare a mano quello che la maggior parte di noi affiderebbe ad elettrodomestici modaioli da cucina. Nello studiare queste freselle con piacere cito anche Ornella non da meno nel panorama della blogsfera gastronomica.
PS
Senza saperlo sono state preparate in parallelo (suppongo nello stesso periodo) anche dallo ZioPiero ehehehe
Anche la sua versione è da chapeau. Vi lascio il link per completare degnamente questa panoramica su quello che in fondo per molti è solo pane-secco...fortunatamente non per tutti :P


Taralli al burro e finochietto

Ingredienti:
500 gr. farina 0 (ho utilizzato 250gr. di Rieper gialla e 250 gr. di farina 0 della LoConte)
170 gr. lievito madre;
300 gr. acqua;
10 gr. sale;
15 gr. di semi di finocchietto;
burro quanto basta (Ho usato il burro di Beppino Occelli);

Preparazione:
Per il lievito madre, la mattina che devo usarlo, tre ore prima lo rinfresco* e lo lascio a temperatura ambiente fino a quando non devo impiegarlo.
La base di partenza quindi è il lievito madre appunto con un classico profumo di yogurt (non deve assolutamente avere note acidule al naso), sciolto nella totalità dell'acqua (leggermente tiepida) e miscelato in una ampia ciotola di vetro con la farina al fine di ottenere un impasto abbastanza morbido (uso una forchetta solitamente all'inizio) impastato per 30' almeno con l'aggiunta alla fine dei semi di finocchio e del sale.
Terminata questa fase si forma una pagnotta e la si lascia lievitare per un'ora circa coperta da un canovaccio inumidito e strizzato molto bene (in inverno occorrerà certamente almeno il doppio del tempo).
Dopo procedo alla formatura in questo modo (ricopio in pieno i passi descritti da Tinuccia eliminando i dettagli in termini di misura in quanto ho proceduto ad occhio ed aggiungendo la variante personale. Per le foto della formatura rifarsi al suo dettagliatissimo post)

Formatura:
1 )Fare delle palline, schiacciarle e tirare i lembi facendole diventare di forma rettangolare.
2) Spalmare sul rettangolo una inezia di burro. E'importante non esagerare. Il burro va solo avvertito come nota e non deve in alcun modo essere predominante al palato. Ad un primo morso non si deve mai sentire, è questo quello che io reputo il piccolo segreto di questa semplice fresella.
3)Arrotolare il rettangolo su se stesso dando vita ad un filoncino che continuerete ad arrotolare formando un “serpentello”.
4)Attorcigliare il cordone di pasta stando attenti a lasciare un buco all’estremità dal quale farete passare il lembo inferiore, formerete così un anello il cui buco centrale avrà almeno un 5cm di diametro.

Posizionare i taralli nelle teglie su carta forno, coprirle con canovacci inumiditi e strizzatissimi e lasciare lievitare per circa 6-7 ore, questo logicamente varierà in base alla forza del vostro lievito madre ed alla temperatura dell'ambiente.

Cottura:
In forno statico per 30 minuti, i primi 10 minuti a 200 C°, i secondi 20 minuti a 180 C°. Come dice anche Tinuccia ogni forno ha caratteristiche proprie, l'importante è far terminare la prima cottura quando le freselle saranno leggermente dorate.
Lasciare raffreddare.
A questo punto tagliare i taralli in due in senso longitudinale dando vita così al doppio dei pezzi.
Ho tostato le freselle a 180C° una decina di minuti forse più con la parte interna rivolta verso l'alto.


*"Fresco di rinfresco" per me vuol dire che sono al terzo rinfresco consecutivo. Supponiamo cioè che voglia preparare il pane il Sabato(infornarlo intendo).
Il Mercoledì sera faccio il primo rinfresco al lievito e lo metto in frigo.
Il Giovedì sera faccio il secondo rinfresco al lievito e lo metto in frigo.
Il Venerdì faccio il terzo rinfresco ed invece di riporre il lievito nel frigo lo lascio a temperatura ambiente per tre ore dopodichè lo uso per l'impasto che metto a lievitare tutta la notte (sempre in frigo) e che uso il giorno dopo (Sabato)per preparare il pane.