martedì 18 dicembre 2012

Casarecce romane ma proprio romane che piú romane nun se pò


I nomi dei food-blog sono una sorta di tatuaggio informatico con il quale ci presentiamo ad un pubblico di perfetti sconosciuti. E'chiaro che alcuni per la loro natura lessicale esplicita nei rimandi diretti ad un profumo, ad un sapore, ad un piatto, ad una sensazione piuttosto che ad una personale inclinazione chiariscono o quantomeno proiettano una luce di aspettative che poi a ben vedere non sempre sono rispettate nei contenuti. Quando ho scelto il nome del blog, ad esempio, non ho avuto dubbi sul fatto che potesse essere Gambetto nella Zuppa, quasi posso dire di aver vissuto la circostanza come un passaggio obbligato, una sorta di coerenza gastronomica culturale che riuscisse a tracciare, per quanto in modo superficiale, un profilo (psichiatrico aggiungerei) dell'autore.
Il gambetto di prosciutto, che mia madre ha sempre usato per insaporire le zuppe e che ricercavo nelle stesse a compensazione di un pietanza settimanale che non era tra le mie preferite dell'epoca, come simbolo di golosità in un piatto che per sua natura ha tutte le caratteristiche del meltin-pot piccolo borghese nel quale sono cresciuto, un caleidoscopio umano di provincia e di città costantemente in bilico nei colori, nei gusti, nella mentalità. La zuppa è un piatto che vuol dire tutto e nulla, può essere rustica ed approssimativa così come ricercata e raffinata, è un incontro di incoerenze alimentari che sapientemente dosate creano piccoli grandi percorsi gustativi che nel loro evolversi riprendono le fasi della vita che attraversiamo.
Probabilmente, e questo è stato sempre il mio primo pensiero, non potevo scegliere un nome di un dolce a rappresentarmi, i rimandi al dessert non avrebbero mai reso gli spigoli vivi che perimetrano il mio carattere nonchè il desiderio di sottrarmi a tutto ciò che rimanda ad un sapore stucchevole, piuttosto il dolce preferisco scorgerlo nelle profondità dell'amaro, laddove ha un senso più pregnante, così come pescare la nota dolce nel cioccolato fondente. Ecco perchè faccio sempre attenzione ai nomi degli altri blog, provando sempre ad immaginare quale sia il percorso che abbia condotto a quella sintesi.
Però proprio come i tatuaggi a volte stento nel capire il nesso. Avete presente chi si tatua simboli celtici, maya, peruviani, indiani, moihicani, se non dei cani, gatti, pantere, tigri, suppellettili di vario tipo, donne con tette al vento, sirene, mezze bagasce, la luna in tutte le sue forme ispiratrici, fiori di ogni tipologia... e tutti accomunati dalla malcelata propensione a raccontarvi il perchè di quel simbolo, ognuno con il suo carico di enfasi al limite del verosimile. Se per i tatuaggi quindi la banalità dell'esotico o del diverso si fonde con il ridicolo, i blog non sono esenti da considerazioni analoghe, soprattutto per la scelta del nome, che si intuisce essere il frutto dell'incrocio della poetica di un ominide con l'acume di un primate, e mi scuso per il paragone ingiusto con la categoria dei mammiferi più simili all'uomo, una sorta di meteorismo estetico, ognuno "spara" la sua aspettando di capire quanto devastante possa essere stato.
Profumi evocativi quindi, fragranze esotiche, accoppiamenti di spezie ricercate, l'uso del musicale francese o rimandi a prerogative gastronomiche ancestrali, tutto purchè si crei una sorta di sintomatica aspettativa di competenza, ricercato, di eleganza e raffinatezza, la qual cosa, si avverte chiaramente, ha lo stesso grilletto emotivo che spinge altri a tatuarsi sul collo in bell'evidenza simboli religiosi di popolazioni lontane per sottointendere una spiritualità profonda, il che poi quasi matematicamente serve ai più ad individuare l'ennesimo decerebrato.
Poi finalmente ho visto la luce in questo bailamme lessicale gastrochic...ho capito che il momento della svolta era arrivato, che nuovi scenari si sarebbero aperti, mostrandoci infiniti altri orizzonti. Ero intento in facende personali quando dalla casella di posta legata al blog, relativamente ad un post non mio che però seguivo, si è palesato in tutta la sua magnificenza il commento di un certo "Emorroidi, rimedi naturali". Il tipo o la tipa che dir si voglia 'tampina' di complimenti la famosa amica blogger i cui post spesso trovano l'apprezzamento educato e sintetico dell'autore affetto da cotanto fuoco sacro medico-divulgativo.
Il dubbio che i commenti possano essere generati da un software mi è anche stato suggerito ma ad onor del vero mi piace sposare a ragion veduta la tesi dell'essere umano che vuole fare breccia sull'attenzione altrui con un nickname volutamente imbarazzante, che coperto dall'ovvio anonimato, gli consente invece di condurre un lecito marketing del proprio know-how naticale, magari (ma questo non l'ho verificato) finalizzato all'acquisto di prodotti mirati. L'apparente illogicità di postare commenti su blog di appassionati di cucina è a ben vedere l'amo migliore di chi vaga su questi lidi, tra i tanti che amano "sfondarsi" in cucina, infatti, probabilmente, anzi di certo c'è anche chi ha sfondato altro.
Non a caso pensavo che a questo punto sarebbe del tutto normale se dall'oggi al domani trovassimo nuovi utenti in qualche modo affini all'argomento idraulico archittetturale piuttosto che a quello strettamente corporale, con nick del tipo "Trattamenti per tazze scheggiate", "Bidet consunti, rimedi della nonna", "Dècoupage per tavolette", "Sanitari antisismici in titanio&gommapiuma" etc etc.
E'evidente che in un primo momento queste intrusioni disegnano smorfie di ironico disappunto in chi pensa di spulciare solo contenuti gastronomici ed invece si ritrova ad essere vicino-di-commento di "Emorroidi, rimedi naturali", un mago dell'equilibratura&convergenza della chiappa incidentata.
Che questo sia il fio all'essere soggetti pubblici è chiaro, una sorta di piccola tassa che in fondo paghiamo anche quando sull'autobus il nostro vicino di posto ha il tatuaggio della lacrima di Pierrot sotto l'occhio, o con il piercing sadomaso. All'inizio c'è la curiosità, qualche constatazione più o meno seria per provare a capire e poi, nel mio caso, cedo il passo all'ironia. Più o meno anche "Emorroidi, rimedi naturali", come nel caso del trasporto pubblico, è un compagno di seduta, scomoda ma è comunque un passeggero di questo carrozzone virtuale e se in un primo momento seguivo con un distacco tutto ironico le sue incursioni, poi con il passare dei giorni, riflettevo che in fondo non era di certo da meno, di chi si era disegnato un blog esteticamente e lessicalmente perfetto per corrispondere alle aspettative di un pubblico poco critico salvo poi condivedere contenuti ancor meno apprezzabili di una eventuale cremina rinfrescante per il popò. Probabilmente meglio l'onestà intellettuale di un "Emorroidi, rimedi naturali" piuttosto che la gatta-mortite di "Verzotta di Roncadelle"*, piuttosto che la supponenza ingiustificata di "Cannelle&Cacarel"** o ancor peggio la mancanza di dignità di "Dulcis in Vespasianum"***...

PS-Appello 

Ti prego "Emorroidi, rimedi naturali", se ci sei, diventi anche un mio lettore, please...

Nota *-**-***
Ogni riferimento a blog reali è proprio così...come l'avete pensato :)

Casarecce con pollo alla romana
La cucina tipica delle città italiane si identifica usualmente in un perimetro gastronomico ben preciso che comprende l'idea di un piatto, la sua ricetta, l'iter storico e gastronomico (reale o presunto tale) che lo individua e tutte le rivisitazioni divulgate, da quelle in chiave famigliare alle declinazioni sofisticate degli chef stellati. Qui oggi si attraversa seppur di poco, il confine di questa linea immaginaria per ritrovare un piatto 'da Lunedì romano', da cena del Lunedì per essere ancor più precisi, una portata che non troverete in alcun manuale di gastronomia locale se non nelle confessioni da pianerottolo di mamme impegnate tra lavoro e figli. Il "pollo alla romana con i peperoni" è infatti una ricetta recente, nessun generale o cuoco distratto all'origine, piuttosto un piatto ricco della Domenica di molte famiglie capitoline, famiglie operaie e medio-piccole borghesi. L'iter è sempre lo stesso e non è nemmeno dettato da particolari situazioni di indigenza, di scarsezza di materie prima quanto di vera e propria opportunità da primo giorno della settimana. Quello che avanza della Domenica si travasa in un bel barattolo ed il giorno dopo quando la famiglia si ritrova a cena lo si usa per condire la pasta. Il ricco sugo del pollo alla romana con i peperoni ben si presta anche al salto in padella ed ecco che la pigrizia da Lunedì può diventare motivo di vanto tra appassionati di fornelli, lo stesso che spiega in che modo sia arrivato personalmente al piatto.
A questo punto lascio a voi la quesione se le "Casarecce con pollo alla romana" possono essere in un prossimo futuro incluse nella cultura gastronomica capitolina, magari con una bella storia di una mamma precaria in giro tutto il giorno ma ben risoluta nei gusti all'occorrenza :)
La qualità della materia prima ed una buona scelta del tipo di pasta, nel mio caso ho usato la trafila Casarecce della Garofalo n.88 , sono poi una condizione necessaria e sufficiente perchè la serata del primo giorno della settimana, solitamente il più inviso, possa acquisire un sapore consolatorio e acquietante nel gusto :)
Questo piatto però deve un grazie particolare a Simonetta, una ragazza che per amore vive in Argentina e che con il suo blog ha steso un filo diretto con l'Italia che tanto mi rammenta la corda sulle quali si stendono i panni ad asciugare. Il bucato di idee e spunti condiviso su questa robusta ed invisibile traccia a ridosso di uno oceano danno continuità ad un modo di pensare alle preparazioni ed alla cucina che trovo straordinario, anche perchè sempre teso a ritagliare ulteriori gradi di libertà a chi per motivi fisiologici si vede negato una parte dell'offerta del mondo del cibo.
Un ultimo grazie sentito va anche alla comunità di Gente del Fud (nella fattispecie in questo caso nella persona di Giorgio Marigliano), nella quale mi rivedo per approcci e per idee ed alla quale devo estrema riconoscenza per mettermi in contatto con una realtà che amo, per passione e per gusto.
Insieme mi hanno dato la possibilità di contribuire immeritatamente alla terza edizione su Donne del Web dello speciale dedicato alle grandi paste italiane insieme a blogger di maggiore caratura e bravura, ecco perchè mi ripeto nel grazie.

Casarecce con pollo alla romana (per 4 persone)

Pollo alla romana con peperoni

6 sovracosce di pollo ripulite dalla pelle e dalle ossa (ho usato solo sovracosce per rendere il piatto accessibile anche ai bambini senza correre il rischio di ossicina);
5-6 peperoni rossi, sodi, di media grandezza;
3 cucchiaini di concentrato di pomodoro;
1 bicchiere di vino bianco secco di buona qualità;
1 cipolla di Tropea;
1 mazzetto di prezzemolo;
1 foglia di alloro fresca;
1 rametto piccolo di rosmarino;
Olio extravergine di oliva;

Preparazione della Domenica
Pulire le sovracosce di pollo della pelle residua e di eventuali ossicini e poi tagliarle regolarmente. Se si ha tempo e se si riesce ad organizzarsi con anticipo, lasciar marinare i bocconcini di pollo per una notte in frigo in una marinatura di olio, vino bianco, qualche goccia di limone ed un paio di foglie di alloro. Privare i peperoni della pelle, adagiandoli in una teglia da forno rivestita di alluminio riponendoli in forno preriscaldato a 200°. Venti, trenta minuti al massimo e spegnere il forno senza aprirlo per almeno una oretta in modo che il calore residuo contribuisca a facilitare il distacco della pelle che avverrà senza molte difficoltà. Spellare quindi i peperoni, ripulendoli di pellicine, semi e filamenti e ridurli a falde. A questo punto ridurre a lamelle sottilissime la cipolla di Tropea e farla appassire in una ampia padella unta con 5-6 cucchiai di olio evo. Alzare la fiamma ed aggiungere la dadolata di pollo, scolata dalla sua marinatura, facendo colorire i cubotti su entrambi i lati. Quando saranno coloriti versare il bicchiere di vino bianco e sempre a fiamma viva lasciar evaporare l'alcool. Aggiungere quindi infine i peperoni, il rametto di rosmarino (legato con poco filo da cucina in modo da eliminarlo completamente alla fine) ed il concentrato di pomodoro e proseguire con la cottura coprendo parzialmente con un coperchio.

Preparazione del Lunedì
Portare a bollore abbondante acqua salata con un filino di olio e mettere a cuocere le casarecce. Gli avanzi del pollo alla romana della Domenica, conservati opportunamente con il sugo, riemergono quindi dal frigo per essere rinvenuti in padella con poco olio aggiunto ed un cucchiaio di acqua di cottura della pasta. La pasta viene quindi scolata con 3-4 minuti di anticipo rispetto al tempo di cottura indicato sulla confezione e viene portato in padella insieme al pollo. Alzare la fiamma e spadellare completando cottura e 'mantecatura'. Servire calde e non riporre la padella nel lavabo, c'è sempre la scarpetta da fare per ripulirla :)
Note
(1) Nella foto, il rotolino accanto è un peperone leggermente saltato in padella con un bocconcino di pollo. (2) Se ci si vuole dare un tono da casalinghe\i che la sanno lunga in cucina, giusto per dare la dritta da pianerottolo ai nostri vicini di casa, conservare l'acqua di vegetazione dei peperoni scottati nel forno, filtrata dei semini ed usarla nella cottura della pasta, ha il suo perchè :)


martedì 4 dicembre 2012

Semifreddo pere e rum



I nonsense fanno parte della mia vita sin dalla prima adolescenza.
L'incontro quello, un caso quanto più inverosimile possiate immaginarlo o meglio facilmente inquadrabile nell'ottica di un adolescente sprovveduto intellettualmente che era irrimediabilmente attratto dalla musica e dai testi di De Gregori, Dylan, Lou Reed, Rino Gaetano e non ultimi i PinkFloyd. E'chiaro che per quanto provassi a tradurre gli anglofoni e per quanto avessi sotto mano i testi dei cantautori italiani, i mezzi intellettuali erano (e sono, aggiungerei con convinzione) limitati all'età e quindi molti orizzonti non solo mi erano sconosciuti ma nemmeno ne riuscivo ad intravederne le possibili linee di luce.
Ecco che i nonsense hanno avuto inizialmente quasi e solo un significato puramente estetico, metafore incoerenti che sentivo affini, aerei rimandi verbali a sfumature dell'anima che vuoi per ignoranza storica, politica, economica o anche solo artistica, non riuscivo a cogliere, facendoli pur tuttavia miei in qualche strano modo.
Con il tempo, qualcosa è venuto a galla dalla nebbia, permettendomi anche di distinguere tra nonsense dovuti alle mie lacune e quelli volutamente poetici a delimitare le periferie delle contraddizioni umane in tutta la propria colorata e magnifica illogicità. Ancor oggi nel tempo libero adoro cogliere, limitatamente alla mia esperienza, piccoli nonsense intensi, quale che siano la loro provenienza o natura.
E'inevitabile che questo inappropriato tentivo di elevarmi cozza con la mediocrità giornaliera che ci circonda e che, purtroppo, volenti o nolenti subiamo anche. Mi spiego meglio sperando di farvi intuire in quali piccoli disagi quotidiani possa incappare se non vogliamo parlar di vero e proprio scheggiamento coatto di zebedei. Questa estate, anche la mia radio preferita, Radio2, non si è risparmiata dal mandare in onda praticamente sempre, anche durante programmi ricchi di intelligenza e humor, la canzone di Malika Ayane "Tre cose". Non voglio entrare nel merito del motivetto, quasi irritante nel suo alienante riproporsi, asfissiante come un carillon molestamente incantato su un solo passaggio, ficcante come se fosse stato partorito da un compositore psicopatico prima di uccidersi con i lassativi, perchè più e più volte mi sono concentrato sul testo, una serie di banali nonsense inanellati con certosina pazienza che mi hanno fatto spostare il limite dell'indecenza un pò oltre il perimetro già lontanamente fissato dal buon Gigi D'Alessio.
Passaggi come: "e la terza scriverò sui vetri sporchissimi di un auto blu.. blu come i tuoi occhi a cui raramente sfuggirò e anche se fosse tu non chiuderli mai..."
Per chiunque sia scritta la canzone, dal suo nuovo fidanzato alla figlia, consiglio vivamente a chi rientra nella cerchia affettiva della simpatica Malika per scongiurare premature dipartite di grattarsi a sangue qualsiasi cosa abbia all'interno delle mutande. "e poi invitami a bere un bicchiere di sole spiegami senza nemmeno parlare che gusto ha.."
Eccolo il nonsense languido ed avvilente, un tragico tentativo di poesia reso senza stonatura formale alcuna da chi fino a qualche giorno fa (nel quale è stato finalmente lanciato il nuovo singolo) in qualsiasi media possibile e immaginabile ha percosso note, testi e zebedei con la stessa efficacia.
Pur cambiando campo d'azione non solo i nonsense non mancano, piuttosto abbondano creando mondi surreali, struggenti per forza narrativa, dove il Dio "Confetto Falqui" brilla come un sole, e mai come in questo caso basta la cronaca e non la parola per cagar....
Vado per flash qualcuno commentato, qualcun altro no, quel tanto per farvi intuire senza troppo approfondire che l'intestino rischiarato da tali nonsense potrebbe anche non reggere:
  • Scamarcio approfitta di un incontro con Bersani per parlargli di teorie monetariste macroecomiche;
  • Scillipoti all’oratorio San Pietro di Roma, tiene corsi di formazione politica giovanile;
  • La Grecia, culla e madre di una cultura che è stata ed è tutt'ora medicina dell'anima dell'uomo moderno (in senso lato), si ritrova con parte della popolazione a chiedere farmaci e assistenza alle organizzazione non governative di stanza nel paese create inizialmente solo per dare supporto agli immigrati. L'intransigenza tedesca non crea solo povertà, ferisce la dignità di chi ha dato dignità etica in tempi non sospetti ad un ottuso e chiuso uomo mitteleuropeo;
  • "Nuovi acquisti presso la statunitense Lockheed Martin di aerei caccia da combattimento" e poi mancano i soldi per "battersi" negli ospedali con le continue carenze di personale e medicine;
  • Dulcis in fundo e non parlo del caso della settimana delle sfogliatelle "comprate", pubblicate e poi rimpiazzate con tanto di scuse ma di quello meno avvincente di un certo signor Sallusti, protagonista di un nonsense che tra poco sarà più chiaro. Non voglio infatti entrare nel merito della questione di un direttore di giornale che diffama e che viene punito per legge, non voglio accennare alla pantomima da martire dell'informazione inscenata a buono o cattivo gusto dello spettatore medio di cronaca, nemmeno voglio sottilizzare sul fatto che paradossalmente lo stesso direttore cavalcava le idee totalitarie del suo erotomane editore, nonchè ex-premier, che anelando alla mancanza di contraddittorio voleva mettere in galera tutti i giornalisti che con lui facevano un normale lavoro di inchiesta o di critica, nemmeno sto qui facilmente a salire sul carro dei vincitori perchè a ben vedere nella faccenda vedo solo vinti e nemmeno voglio cedere alla battuta facile di un uomo che in quanto stipendiato da Berlusconi e in quanto compagno della Santanchè non sappia nemmeno cosa sia la libertà o i suoi sinonimi...volevo solo riflettere appunto su un nonsense più sfuggente. Il carcere o la pena detentiva, oltrechè essere un atto punitivo dovrebbe in qualche misura contribuire a recuperare socialmente e moralmente il colpevole privandolo della propria libertà d'azione in modo da costringere il reo a precorrere una strada di riabilitazione. Può, nel caso di Sallusti, l'arresto domiciliare avere questo potere espiativo visto che come si legge parliamo di una modesta dimora di 920 metri quadri su quattro piani con annessa piscina coperta rivestita in madreperla, letto king-size,... Ripeto non voglio assolutamente esprimere valutazioni ma in generale non sarebbe meglio in alcuni casi...multarli e mandarli a pulire i cessi dei centri di accoglienza immigrati...(straparlo ovviamente :) ) 
 Il nonsense come vedete ritorna non in forma artistica ma ritorna e quindi vi saluto con una preghiera partenopea..."Santa Maradona pensaci tu..." :)


Passiamo quindi alla ricetta
Non è una coincidenza se ho deciso di pubblicare questo semifreddo preparato il fine settimana scorso quando, contrariamente alle apparenze l'unico nesso, in quel momento, che avevo con i Calycanthi era l'ispirazione per questo dessert alle pere. La loro ricetta il punto di partenza, in mezzo un pò di fantasia e quanto ho imparato dal Nanni in termini di farcie con frutta a completare una piacevole nonchè reale botta-di-chiulo ai fornelli :P ehehehhe
Prima di arrivare a spiegare come ho modificato la preparazione e la decorazione, volevo solo fare un cenno esplicitamente pubblicitario ad un gran bel libro "La cucina di Roma e del Lazio". Chi mi conosce non solo sa che non faccio pubblicità sul mio blog ma anche che non compro in genere libri di cucina, se non pochissimi, magari li regalo invece, e quelli che ho a mia volta li prendo solo se hanno una storia alle spalle. Di solito infatti rifuggo da progetti grafici eccellenti o da opere didascaliche fredde, compendi di ingredienti e di eleganza ma non di tecnica in genere. Venerdì scorso sono stato però alla presentazione del libro suddetto e senza che entri nei particolari che mi hanno indotto all'acquisto sono stato più che incuriosito di sfogliare non, un libro di preparazioni cosiddette "tipiche", quanto di percorrere un piccolo e gradevole sentiero poco prima percorso dagli stessi autori.
Ecco che in pochi giorni (durante il weekend) non ho attraversato un indice di ricette con gli occhi, piuttosto sono stato accompagnato in una ricerca risoluta ed appassionata di una cucina tipica, che non solo ha riservato sorprese ma anche che ha segnato qualche 'sconfitta' come nel caso della caccia alla "provatura" (un formaggio comunemente definito nei ricettari della regione Lazio oggi introvabile per via dell'evoluzione delle tecniche produttive). Ecco perchè mi sono appassionato a questo libro, perchè non disegna un percorso gastronomico lineare, piuttosto come dicevo prima, ci accompagna su un sentiero, quello della cucina di Roma e del Lazio che non è privo di piccole buche così come di scorci incantevoli.
E' un ricettario ma anche una storia e come tale non poteva che conquistarmi. Adesso fare i complimenti a Maria Teresa di Marco, a Marie Cécile Ferrè e a Maurizio Maurizi suona stonato e quindi lascio ad altri questo passaggio, certo di avervi condiviso un progetto gastronomico niente affatto scontato.
Torniamo quindi alla ricetta...

Semifreddo pere e rum Ingredienti:
700 gr. di pere mature mondate e tagliate in pezzi molto piccoli (la William rossa, detta anche Max Red Bartlett, è quella che ho usato e penso che sia l'ideale. Considerate che sono completamente rosse...e non pezzate);
150 gr. di zucchero;
300 gr di panna fresca montata;
60 gr. di ottimo rum;
1 filino di olio evo;
1 limone;

Preparazione
Sbucciare le pere e tagliarle a cubettini che andranno cotti a fuoco moderato in una padella antiaderente unta con un filo d'olio EVO insieme al succo del limone, a 20 gr. di rum (presi dai 60 gr. totali) ed a 100 gr. zucchero (presi dai 150 gr. totali). Dopo qualche minuto le pere avranno prodotto il loro liquido continuare quindi a cuocere fino a quanto il liquido non si sarà parzialmente ritirato. Togliere a questo punto dal fuoco e frullare il composto con un mixer con i restanti 50 gr. di zucchero e con 20 gr. di rum (presi sempre dai 60 gr. totali). Aspettare quindi che il tutto si raffreddi a temperatura ambiente e solo quando questo avviene montare i 300 gr. di panna con i 20 gr. di rum rimasti in un recipiente che sia stato tenuto circa un'ora in freezer. Procedere quindi molto dolcemente alla fase che prevede l'aggiunta della panna al composto di pere incorporando la prima al secondo cercando di procedere con una spatola con movimenti delicati dal basso verso l'alto. Versare quindi il composto amalgamato nei stampini che meglio preferite (nel mio caso di silicone) e riporre in freezer.
Per la decorazione invece per creare un distacco con il semifreddo alle pere (per quanto non sia molto dolce) e che andasse a nozze con il retrogusto di rum, ho frullato 3 pere essicate con un paio di cucchiaini di ottimo cacao amaro fino ad ottenere appunto una pezzatura sfilacciata. Decorare come ho fatto io alla men peggio :P ehehhehehe
La nota amara del cacao con la pera essiccata frammentata e la delicatezza del semifreddo alle pere per nulla stucchevole sul piano del gusto dolce ha sancito almeno per me una bellissima botta di chiulo nel mio diario di appassionato di dolci.
Se siete arrivati a leggere fin qui...grazie dell'insana follia che vi spinge a dedicarmi più tempo del consentito :)))





martedì 13 novembre 2012

Ciambellone fondente agli agrumi


Roma, Eataly.
Mai l'apertura di un punto di aggregazione simile poteva venire tanto incontro ai desideri delle masse di gastro-appassionati. Il sacro virus dei fornelli è una sorta di pandemia più preoccupante dell'aviaria, perchè se la seconda proviene dai polli inducendoci al letto ed al massimo nel bagno per qualche giorno (catastrofisti americani e opinionisti-della-d'Urso a parte...), lasciandoci nel post-riposo più leggeri nel fisico ed anche nei pensieri, la prima invece crea gravi disturbi maniacali-depressivi che nell'apparente evidenza di un delirio di onnipotenza gustativa uniforma in modo sconcertante atteggiamenti, linguaggio e persino gestualità. Torniamo per un attimo ad Eataly però.
Il misantropismo innato nel mio carattere, mi aveva tenuto lontano da questo piccola-grande realtà del cibo, anche a torto a dire il vero, e quindi fin quando non si è presentata una occasione-esigenza che mi ha portato fisicamente lì per la prima volta, avevo sempre trovato una scusa o un alibi per rimandarne la visita. Nella fattispecie però sono stato più che fortunato, perchè il mio primo approccio in quel di Roma è stato attraverso una frizzante professionista che lì lavora, con la quale abbiamo scelto come teatro temporale dell'incontro un Lunedì pomeriggio e cioè il momento nel quale anche il più sfegatato e becero fan della Parodi cerca la via di casa per smaltire tutte le caxxte gastro-pop-chic che ha cucinato o ingurgi...ehm degustato nel week-end. E'evidente che la scarsa presenza di avventori ed una mentore più che carina nel guidarmi tra le varie aree a tema hanno avuto il loro peso nel primo impatto.
Di certo l'ambientazione è suggestiva così come la scelta di avere sempre luce naturale disponibile ove possibile, il che permette di non perdere riferimenti temporali certi come invece avviene purtroppo nella maggior parte dei centri commerciali al chiuso. Ampi spazi quindi, scelta di zone aperte con scaffali a vista, percorsi a tema appunto ma non necessariamente obbligati come il "sentiero" dell'Ikea, una moderna rivisitazione delle transumanza volontaria del pecorame su tappe fisse. Ci credo poi che le persone all'uscita dell'Ikea stessa non ritrovano l'auto, il lento incedere sul quell'itinerario disegnato in terra, quel pacato ritmo dato dall'altrettanto trascinarsi di piccoli flussi umani affluenti, lobotomizza, pian piano assuefa, rende dolce i dolori ed anestetizza anche la Domenica più grigia, conduce al ristorante-mensa...poi ancora agli stand e se proprio non si è acquistato nulla, sfocia a tardo pomeriggio nel porto della gastronomia svedese, dove è un attimo spendere 100euro in salmone e in cagatine allo zenzero per ritrovarsi fuori sulla porta d'uscita senza nemmeno riuscire a ricordare il proprio nome ed il perchè si è in quel luogo.
Torniamo però ad Eataly, per la quale accennavo appunto ad una ottima coreografia a dimensione d'uomo con una altrettanto vasta scelta di prodotti, dal commerciale a qualche piccola chicca più ricercata e di certo più difficile reperibilità. Accennare al fatto che da vero morto di fame partenopeo, ed ho una testimone per questo, ho subito acquistato una mozzarella da 1 Kg impegnandomi a donare un organo a scelta per quanto costava era scontato, no?! E che la stessa mozzarella è stata usata come imbottitura per una parmigiana di melenzane perchè davvero non era assolutamente niente di eccezionale da sola lo pensavate?...eppure è proprio così. Per carità, non sento alcun desiderio di cadere nella sterile polemica che gioca sul fatto "...che sono napoletano, ho altri standard e così via...", perchè a questo punto dovrei dirvi che "...suono il mandolino, il putipù e sono un latitante cammorista..." :) Piuttosto se pago tanto, le aspettative sono altrettanto alte e se non sono rispettate allora il produttore, il distributore diretto o chi per esso, perde un cliente, uno, io, niente di che sia chiaro. Tralasciando quindi la piccola delusione gastronomica, aggirarsi negli stand è davvero una esperienza unica, soprattutto quando sul tardi comincia ad aumentare l'affluenza di avventori.
E' tutto un collage di personaggi-espertoni che declamano competenze ad alta voce, donne 'gommate' dai rossetti improbabili ai limiti dell'anoressia che con mani ossute ed ingioiellate spulciano etichette tra scaffali con aria sostenuta nascondendo malamente parecchi gradi di presbiopia, finti Che-Guevara con capelli rasta che fanno la spesa con i carrellini colmi trascinandosi in jeans consunti dalla griffe e non dal tempo, altrettanti improvvisati (ed un pò ingenui) chef-casalinghe\i che nel reparto libreria snobbano la Clerici o la Parodi per declamare nomi più altisonanti, indicando a chi gli è accanto che certe pubblicazioni sono 'robetta' (ed effettivamente, a parte tutto, come dargli torto), partner di appassionati di cucina che si aggirano per il reparto utilenseria con la stessa aria spaurita che potrebbe avere Roberto Bolle ad un raduno di portuali omofobi, degustatori di caffè che richiedono monoarabiche con la stessa nonchalance di chi per tutta la vita si è tostato e macinato il caffè a casa quando gli unici chicchi di 'caffè' che hanno veduto sono solo quelli di cioccolata sulle torte, c'è anche chi ha provato a sentire il profumo della farina dall'esterno della confezione sigillata o che ragionava sulla stagionatura del parmigiano guardando le venature dello spicchio con la stessa aria rapita di chi è in grado di guardare il futuro in una palla.
Non sono in molti però ad accorgersi che la pellicola usata per gli alimenti grassi, formaggi inclusi ha pvc (la grande distribuzione della COOP è più avanti di Eataly in questo...), che il prezzo di anche ciò che è reperibile in mercati attigui è innaturalmente più alto senza apparente giustificazione qualitativa, che la selezione dei vini esposti (fatta eccezione per le eccellenze acclarate ed imprescindibili per questo) segue una linea commerciale che indirizza marcatamente in certe direzioni aziendali(e qui mi fermo...), che gli yogurt 'di nicchia' ad alta qualità altro non sono che latte intero addizionato di fermenti lattici e con l'1%(!!) del prodotto caratterizzante il gusto (la Yomo è un prodotto d'elite al confronto visto che usa il triplo dei medesimi ingredienti ed il primo che mi accenna alla parola bio lo mando a...)...
Tutto sommato però, insieme ad una seconda volta con la quale sono tornato con MissD mi sono sempre divertito, perchè Eataly è specchio della società, specchio di "tronisti del food" che lì trovano una ribalta degna delle loro eccentricità estetiche e se visto come parco giochi a tema è un luogo di aggregazione niente male dal quale cogliere il meglio, considerato che l'idea di partenza è comunque ottima nelle intenzioni e che per alcuni reparti i professionisti non mancano, basta fregarsene o magari solamente sorridere quando capita di incrociare 'rustici connazionali' presi ad imbustare delle melenzane e delle carote (da mercato rionale, fin troppo nella media come prodotti) con la grazia e l'accortenza con la quale maneggerebbero piuttosto un vetro soffiato di Murano. Piuttosto apriamo una associazione "Amici degli smemorati dell'Ikea", che dite?!

PS
Questo post è stato in più punti censurato per evitare di vivere sotto scorta, e quindi l'argomento pasticceria, gelateria, angolo del(biiiiippp)...sono stati cancellati dal mio avvocato di fiducia...

Passiamo quindi alla ricetta del giorno.
Un ciambellone, sì, cucinato da MissD.
Quante volte? Tranne quando siamo stati al Salone del Gusto, tutti i fine settimana anche in versione doppia dose ed in molte varianti sul gusto.
Chi lo ha assaggiato? Tutti e non scherzo. I parenti di entrambe le famiglie con i nipoti in testa per le richieste di produzioni aggiuntive, nonni inclusi, gli amici, i vicini di casa, chiunque si sia trovato anche solo per sbaglio con noi da Giugno fino a Sabato scorso. E'stato dono aggiuntivo di piccoli 'regali mangerecci', arma segreta di molti pomeriggi estivi, alternativa pressochè fissa di tutte le colazioni e mai e dico mai una volta che ne abbia avuto uno per me, intendendo tutto-tutto per me. Sempre diviso, porzionato anche quando appunto veniva sformato in versione duplice dose. MissD. ovviamente non ha bisogno da tempo delle dosi, procede a memoria ed anche con modi un filo alienati dai continui rifacimenti del week-end, salvo poi riprendersi con il profumo che lo stesso ciambellone rilascia in cucina senza poi considerare la soddisfazione di non vederlo mai arrivare ad un Lunedì.
La storia inizia come nelle più semplici delle casualità. Sul blog di Ciboulette, UnFiloDiErbaCipollina nel prendere spunto per una torta soffice con polpa d'arancia, segno anche la ricetta del "ciambellone più soffice del mondo", la cui provenienza è dal blog DiarioDiUnaPassione.
MissD. non se lo fa dire due volte, e intercettando il fogliettino lasciato in uno svuota tasche me lo fa ritrovare un Venerdì sera a cena. E' l'inizio del non ritorno. Nemmeno un bar ne produrrebbe in eguali quantità. La ragione, semplice, non tradisce il suo nome. Va da sè che odio i superlativi per cui lo ribatezzo, senza merito o alcuna investitura in particolare di un nuovo nome, secondo me, leggermente più confacente alla resa: Ciambellone fondente. Il Ciambellone fondente, è un punto di svolta nell'arte casalinga dei dolci "secchi" da colazione. Raggiunge il suo top nelle declinazioni agli agrumi con zeste degli stessi e con marmellate, appunto agli agrumi di ottima qualità e cioè con un rapporto zucchero\frutta completamente a discapito del primo. Deliziosamente evanescente nella suo fondere in bocca nella versione albicocca, pera o pesca.
Intrigante all'arancio per essere semplicemente irresistibile con i mandarini. Mela&cannella, un piccolo must al quale non rinunciare quando ci si vuole coccolare magari nel dopo cena. Limone il mio preferito, fresco, leggermente pungente, praticamente perfetto. Forse non ho mai parlato così tanto bene di un dolce se non della pastiera di mia madre, vuoi vedere che mi sto completamente rincogl....(biiiiiiippppp!!)....??
A voi la risposta. Rifarlo è un attimo, provarlo idem, rispondermi a tono sarà semplicissimo ed io non vedo l'ora... :)

Ciambellone fondente agli agrumi 

Ingredienti:
250 gr. di zucchero;
250 gr. di farina "00";
3 uova intere, codice 0;
130 gr. di olio di semi di ottima qualità;
130 gr. di acqua;
250 gr. di marmellata agli agrumi di ottima qualità con un alto contenuto di frutta;
una bustina di lievito per dolci non vanigliato;

Preparazione
Montare le uova con le fruste insieme allo zucchero fino a quando non diventano spumose. Solo quando le uova sono ben montate, senza mai fermarsi con le fruste, aggiungere a filo e gradatamente, rispettivamente prima l'olio, poi l'acqua, la marmellata e solo alla fine la farina ed infine il lievito opportunamente setacciato. Imburrare e infarinare quindi uno stampo per il ciambellone, come quello per il budino, versarvi i 3/4 del composto. Nel rimanente composto mettere due cucchiai di cacao amaro, mescolare bene e far cadere nello stampo sul composto bianco per un eventuale effetto marmorizzato. Cuocere in forno caldo a 180 ° per circa 40-50 minuti, sul ripiano medio del forno. La prova stuzzicadente ovviamente vi servirà per capire, ognuno con il proprio forno, quanto tempo è necessario per una cottura ottimale.

Nota
Il composto da versare nello stampo risulta piuttosto liquido e quindi non aggiungere mai ulteriore farina. L'uso di zeste di agrumi o di altri caratterizzanti è da consigliare solo nel caso di marmellate di scarsa incidenza gustativa...



martedì 6 novembre 2012

Gente del Fud al Salone del Gusto



Salone del Gusto.
Garofalo. Gente del Fud. Giorgio, Piero, Laura, Valentina ed Emidio.
Poi mail, organizzazione, commenti.
Un piccolo tunnel sotterraneo scavato poco a poco, parallelamente al quotidiano, scaramanticamente e affettuosamente rilegato in un angolo personale, un puzzle labirintico di Escher con tasselli che si inseguono l'un con l'altro, simili nei colori ma diversi nella sfumatura, quel tanto da suscitare emozioni sempre differenti pur convergendo tutti verso un focus che non si lascia mettere a fuoco volutamente.
Sono partito con MissD, senza aspettative, senza macchina fotografica, con il mio 'diario nudo' da aggiornare, con un paio di bermuda, uno di jeans, un indirizzo per inseguire una mostra di Degas mai vista, una maglietta-pensata con la foto di un finto-prete che ho conosciuto tempo addietro e con il desiderio di cercar di capire quale è la mia posizione all'interno di un gruppo di persone che usa o si lascia usare dalla cucina per assecondare vanità e piccoli sogni, la maggior parte dei quali apparentemente inconfessabili, il più delle volte invece, celati malamente sotto forme ed etichette volatili e solo raramente eleganti.
Ho aspettato che tutto si sedimentasse un pò. Ho fatto scorrere dell'altra vita sopra fino a quando sulla distanza e nemmeno tanto inconsciamente piccole immagini sono tornate ad affiorare naturalmente. Immagini tutte con un nome e cognome tra l'altro. Dal macroscopico al puntuale per non perdere mai di vista il dettaglio, quello che fa la differenza.
Il Salone del Gusto, la madre di tutte le feste di paese, una sagra, anzi "la sagra", la migliore alla quale si possa partecipare. Uno spaccato sociale dal quale si esce inebetiti, la si può tenere a distanza, si possono tentare approcci distaccati, c'è persino chi prova a parlarne 'male', ma alla fine è un ballo che quando proposto è irrinunciabile, che si conoscano o meno i passi della melodia. C'è sempre qualcuno che ha visto o assaggiato qualcosa in più di te, c'è sempre qualcosa che si vuole raccontare che si pensa che gli altri non abbiano scovato. Poi il resto lo fanno...
  • ...le persone pazienti in fila sotto la pioggia con trolley vuoti da riempire; 
  • ...le scolaresche, con carichi di vita che del salone ricorderanno le sigarette fumate di nascosto ai professori e i bicchieri di vino buttati giù di sottecchi tra un rutto di un compagno e le risate complici delle ragazze accanto; 
  • ...le immagini non censurate di cartoni animati per bambini passate su alcuni schermi e rubacchiate quà e là da qualche piccolo furbetto (il figlio di 'Escher' per la precisione...), troppo sveglio per lasciarsi sfuggire l'occasione quanto (fortunatamente) anche troppo piccolo per rilevarne la malizia ; 
  • ...agili e sgambate silfidi malinconicamente impegnate a trovare il giusto sorriso plastico per sdoganarsi da quell'evidente incoerenza di rendersi affini (in qualche modo) al concetto di semplicità e genuinità propria della cultura del cibo, buono, pulito e giusto
  • ...la numerosa presenza di disabili e di persone con handicap, un piccolo grande gesto di civiltà che fa sempre retorica o buonismo a sottolinearlo...ma che proprio 'nun-gliela-fò' a non dirlo;
  • ...i morti di fame che avrebbero 'scavalcato' dolci e fragili nonnine pur di non perdere le degustazioni gratuite, le cui mani sarebbero riuscite a farsi strada su vassoi presidiati militarmente. X-men avidi di cibo a sbafo, occhi buoni che improvvisamente venivano attraversati da una luce perversa, una sorta di trans-delirio gastronomico che portava persino i più goffi ad allungare le mani verso le alzatine con gli assaggini, rischiando magari in quegli stand con produttori coltello-muniti, la perdita di qualche falange!
  • ...le espressioni assecondatrici e finto rapite di chi momentaneamente ha anche cambiato religione, rinnegando il cattolicesimo in funzione di un panteismo naturalista ecozoico pur di accedere alla prova di assaggio di alcune mele bio-eco-integro-eque-social-rigeneranti-per-la-pelle-lassative-sbiancanti-autopulenti...
  • ...gli esponenti di Terra Madre, con i loro suggestivi stand colorati, profumati, il più delle volte desiderosi di un confronto con l'altro-mondo (che eravamo noi), laddove la necessità di un marketing innegabilmente si perdeva nelle quinte di piccoli palchi adibiti a festa, sagra appunto della condivisione del proprio spicchio di mondo, testimoni più unici che rari della diversità culturale umana, un endorsement laico veicolato attraverso un tavolo gastronomico niente affatto virtuale, forse il più bel rumore di sottofondo 'del mondo' che abbia mai ascoltato. 
  • ...gli addetti ai lavori, gli espositori, i professionisti (chef, sommeliers, critici, giornalisti), i blogger, tutti con il proprio carico di personalità, a volte invadente altre meno. Non mi addentro per altre categorie nello specifico per non dover ricorrere a mio cognato avvocato, ma per i blogger, amici-colleghi di "categoria", qualcosina si può aggiungere soprattutto sotto il profilo umano. La 'vanità', il peggior difetto, la convinzione di essere qualcuno per il solo fatto di avere un pass o un microfono, mezzi con i quali far pesare un ruolo inesistente anche all'interno di un microcosmo quale poteva essere un evento 'cuciniero'. Ben altro potrebbe aggiungere chi ha lavorato per noi, dagli chef professionisti, alle signore addette alle stoviglie, dai ragazzi che supportavano gli eventi in esterna, allo staff organizzativo, che ha sudato anche l'anima per far convergere il tutto verso una direzione costruttiva piuttosto che autoreferenziale.
Personalmente, e sottolineo personalmente, faccio miei alcuni momenti, nei quali qualcuno di voi forse si riconoscerà...
  • Le lacrime sincere e irrefrenabili di una siciliana che ha la mia personale stima per aver trasformato un ammanco in cucina, in una vitale e sorridente opportuntità, una piccola lezione che ho fatto mia come un abbraccio da ricordare;
  • Una barese ed una abruzzese che mi hanno accolto con spontaneità, dividendo e condividendo un approccio alla quotidianetà fatto di semplicità, di leggerezza, di affetto e di sorrisi allegri;
  • Un napoletano stabiese incrociato su un ponte di Torino e salutato con affetto come si fa tra terroni che non si vedono da tanto ed hanno la fortuna di ritrovarsi nella nebbia. Abbiamo capito tra la folla ed in distanza che eravamo compaesani solo perchè entrambi avevamo il colbacco in testa e le valigie che lasciavano sul grigio e pulito sentiero pedonale un profumo di caciotte e prosciutti dei nostri monti lattari. Un abbraccio, le foto e i saluti alle rispettive famiglie ci hanno consacrato agli occhi degli altri 'emigranti dal Sud del mondo' a tutti gli effetti...
  • Una genovese con la quale ho avuto un attacco di 'timidezza' (per quanto possa sembrar strano detto da me) quasi a compensazione degli incontri-scontri che quotidianamente abbiamo on-line. Conoscerci da vicino non ha cambiato di molto gli atteggiamenti maturati nel tempo e questa è inaspettatamente una conquista più che una mancata occasione, a riprova di quanto la coerenza nei rapporti non sia solo fumo. Di fatto la prossima volta, porterò a termine quello che mi ero prefisso da tempo...scrivergli una canzone napoletana con un cacciavite sul cofano della sua auto...non quella del marito chiaro, con il quale condivido una stessa logica autostradale! :P ahahahaha
  • Una napoletana milanese, che mi manca come possono mancarmi quei pochi amici che ho, per aver coscienza di ciò che perdo umanamente. Bersagliata dalla mia deficienza in un paio di occasioni, non sempre d'accordo su tutto, ci siamo incrociati, inseguiti, lasciati e accompagnati, percorrendo il Salone come nella vita, a volte insieme altre su percorsi differenti, per poi ritrovarci nuovamente a distanza o ad un tavolino di sera tardi con occhi stanchi a parlare di noi davanti a dei dolci siciliani e ad un latte caldo mai finito;
  • Un napoletano romano che ho avuto modo di osservare da vicino e che spogliato di un approccio 'non-partenopeo', in prima battuta leggermente fuorviante, rivela sulla distanza ironia e cognizione, silenzi eloquenti e intelligenza da vendere. Da frequentare...soprattutto per i suoi primi di pasta, sempre "bilanciati" e di gusto che non vedo l'ora di provare;
  • Una napoletana napoletana, per la quale la stima e l'affetto nascono dall'oggettiva considerazione di una competenza in materia di cibo e cucine che non accetta mai compromessi, culturali e men che mai commerciali. Un sorriso tagliente sotto una mano prudentemente posta davanti al viso che si incarna in una fisicità che per scelta si ritaglia le seconde linee della visibilità, ragionevole compromesso per poi metterci sempre la faccia ed il cuore nella prima linea di una certa etica gastronomica. Si può anche non essere d'accordo con lei, ma è altrettanto verò che mi sentirei sempre intellettualmente orfano se non potessi ascoltare il suo parere. Non si può aspirare ad una amicizia, ma la si può dimostrare e con la napoletana-napoletana spero di essere sulla buona strada, sempre che mi perdoni il fatto che le citofono a casa e scappo :P ehehehhehe
  • Un toscana verace che ha negli occhi accesi la passione per il cibo, sorridente, dalla battuta pronta e dalla dialettica senza accomodamenti. La si può odiare o amare, qui le sfumature modaiole non esistono, ed io non ho avuto (ho) dubbi da che parte stare.
  • Un salernitano impertinente, il cui sorriso e la cui vena satirica e canzonatoria mette di buon umore senza mai cedere alla considerazione scontata. Piacevole e intelligente interlocutore quale che sia l'argomento, uno in grado di ascoltare e con il quale non pesa aprirsi parlando di se, sia in termini leggeri che relativamente a problematiche più serie. Tutti lo cercano, tutti lo abbracciano ed a ragion veduta non hanno torto se quando sono rincasato ho pensato ad una occasione da 'costruire' ad-hoc per rivederlo a cena e prendersi per i fondelli continuando da dove ci siamo lasciati...
  • Un ex-prete, ancor più spogliato degli abiti talari che ritrovo nei panni di un giovane ed estroso 'Escher'. Matematica e giochi ottici, marketing e cuore, concretezza e talento visionario, illusione e carisma. "Gente del Fud" è un quadro in via, sempre maggiore, di definizione che racchiude (a mio parere) il germe visionario delle incisioni del grafico olandese. Un focus evidente non c'è, o meglio, c'è ma in un piano non propriamente visibile per chi si pone nell'ottica del dettaglio. Il 'giovane Escher' con l'esperienza manageriale 'matematica' che gli è propria, adotta un ricorsivo lavoro di aggregazione umana, dove i blogger sono tasselli attivi di un puzzle che disegnano nell'insieme un soggetto, solo teoricamente 'impossibile', e cioè una community del fud trasparente nei valori e nei riferimenti. Il risultato, per quanto parziale, è al momento stupefacente. I food-blogger selezionati, pur non perdendo i propri ego sconfinati e le peculiari diversità, convivono (ed è qui l'effetto ottico che disorienta) sotto uno stesso tetto informativo convergente sotto la analitica e folle luce del suo creatore, uno che ha la mia stima per aver creato anche grazie ad una brillante (e vip) napoletana-milanesizzata, un condotto comunicante di idee e progetti tra due mondi i cui punti di congiunzione soffrono (in altri lidi) sempre di immaturità culturale o manageriale. A questo punto che il 'giovane Escher' (in modo evidente o meno), possa incedere nell'autoreferenzialità o nella logica aziendale è il minore dei mali possibili, nell'ottica di un piccolo miracolo comunicativo che apprezzo per follia, per forza realizzativa e per avere una firma partenopea, condita sempre da un sorriso consapevolmente insano :) 
  • Non da meno stupefacente, la "moglie del giovane Escher", decisa e appassionata quando si tratta di difendere la cultura del cibo e la continuità con una tradizione nel quale non ricadere per malinconia o per mancanza di alternative, quanto da usare per rileggere al meglio il presente nostro e delle nuove generazioni. Dio prima li fà e poi li accoppia, questo è un dato di fatto al punto che ho qualche perplessità su chi abbia l'aureola in famiglia :)))) 
Un grazie sentito infine a Giorgio, Piero, Laura e Valentina per aver svolto un lavoro impagabile, per aver coniugato disponibilità ed ironia a professionalità e doveri, per aver trovato i 'tempi corretti' a tutto ciò, per aver ascoltato chiunque, frantumazebedei inclusi, non fermandosi mai e consentendo a chi come me non aveva che se stesso da accudire di vivere al meglio una esperienza che auguro a tutti soprattutto sul piano umano. Un abbraccio speciale però và agguntivamente sempre (e ancora) a Giorgio Marigliano ed allo ZioPiero perchè senza di loro la mia idea di una t-shirt "ecclesiastica" non avrebbe mai visto luce!

Se siete arrivati fin qui, posso confessarvi che dimenticando la macchina fotografica a casa...sono proprio...la schifezza delle schifezze delle schifezze dei blogger!

Le ultime due cose...
La prima...un appello piuttosto...se avete foto nelle quali vi rovino l'inquadratura...anche per ricordo...me le inviate please! :P ehehheheheehe
La seconda è che emhmm...alla fine...ci provo...non so come andrà...ma un passo l'ho fatto...ho un indirizzo facebook...e da neofita...anche un pò "rincoggionito" proverò a venire a rompere ovviamente...laddove non se ne sente la necessità! :D ahahahahahaha

martedì 23 ottobre 2012

I Peperoni di Mario


Caro Gambetto, eccomi nuovamente!
Porca miseria come vola il tempo, le settimane passano con un ritmo travolgente...non riesco a starci dietro...lavoro, sport, impegni vari... Ma credimi non sono felice di questa velocità impressionante, non voglio arrivare al traguardo...in anticipo!
Quand'ero ventenne, un paio di settimane fà, il tempo aveva il suo valore: 
la mattina, pomeriggio, sera tutto scandito da ritmi lievi e sornioni, non che non lavorassi o fossi più pigro di ora, no...era solo il tempo che passava più lentamente. Quante volte osservavo il cielo, le nuvole oppure il mio mare con l'isoletta d'Urgo all'orizzonte, mi grogiolavo osservando i bei tramonti labronesi, soprattutto quando in inverno l'aria nitida permetteva di vedere a Nord-Ovest il faro di Cap-Corse ed a Sud-Ovest l'isola d'Ilva... La vita era più semplice, più naturale...divento vecchio? Forse...ma quei due canali televisivi mi bastavano, la radio era uno strumento affascinante ed appagava la mia voglia di musica e la scoperta di mondi lontani con trasmissioni in italiano provenienti dal Giappone, dalla Russia, con la sua Radio Mosca, dagli USA.... Passavo ore con le cuffie in testa...mi perdevo nei 18 volumi dell'enciclopedia UTET, sfogliando le pagine e pensando che mai e poi mai sarei riuscito ad inglobare tanto sapere nella mia testa. Bei tempi. Oggi è tutto diverso: il 'sapere' è alla portata di un dito...posso sapere tutto in pochi secondi solo picchiettando su di uno schermo posto a venti, trenta centimetri dal mio naso....e tutto corre, niente si placa....posso essere in contatto col mondo solo picchiettando su questo piccolo schermo e grazie alla tecnologia creativa di qualche uomo talentuoso. Che bello, che arricchimento...ma quanto mi manca il domandare a mio nonno, classe 1879, chi fosse Hailé Selassié...quale fosse, secondo lui, l'opera più bella di Puccini, o come fosse stata in realtà, la prima guerra mondiale da lui vissuta in prima persona.... Che bello sedermi sul bracciolo della sua poltrona, nonostante fossi perennemente avvolto in una nuvola azzurra di sigaro toscano, ed ascoltare le sue storie, i suoi racconti che terminavano solo quando mia mamma ci chiamava per la cena...storie che riprendevano nei giorni successivi con ancora più notizie, più informazioni... Wikipedia non esisteva ed eravamo forse più 'ignoranti' ma anche tanto felici!
Un abbraccio

 MrFennec


Quella sopra è una missiva privata inviatami di recente.
Il blog che ho è un diaro personale 'nudo', come avrete intuito di recente, scritto dal tavolo della cucina e quindi mi piaceva allegare questo spaccato confidenziale che spogliato dai riferimenti individuali, ha un suo valore intrinseco più che soggettivo. Chi è MrFennec non importa, cosi come le circostanze che hanno incrociato i nostri percorsi. Mi fregio di chiamarlo amico, perchè come solo raramente mi è capitato nei miei quasi otto lustri di vissuto, quando ci confrontiamo, che si tratti di lavoro, di politica, di famiglia, di ansie e piccole manie personali o preferenze sportive, pur potendo non essere d'accordo, non si può non apprezzarne l'approccio spontaneo e mai invasivo, che non va letto come sinonimo di rustico o grezzo quanto di trasparenza affettiva. E 'naturale quindi sentirsi a proprio agio, raccontandosi (a lui) senza avvalersi di una logica da adulti perennemente fondata sulla difesa quando non è invece ancor peggio, ostentazione o aggressività. Il dettaglio che lo rende raro a mio avviso è la considerazione lampante, che pur essendo MrFennec un professionista nel proprio lavoro e un 'adulto' della mia stessa generazione con esperienze significative tali da potergli conferire un piglio naturalmente più sostenuto, si rivolge agli altri con gli occhi e la voce di un ragazzino. La mail sopra ne è la prova lampante.
Un ossimoro anagrafico a ben vedere, uno che parla a cuore scalzo, aprendosi senza malizia, lasciando a chi è di fronte la scelta di cogliere l'opportunità o meno.
Che abbia i suoi difetti è altrettanto chiaro, ma come non mettere in luce una peculiarità che a mio avviso è un piccolo tesoro da coltivare e da condividere? Mi reputo fortunato ad averlo incontrato, così auguro anche a voi un MrFennec con il quale parlare di tutto, vicino o a distanza, ma al quale poter raccontare per confronto il proprio percorso, senza suppellettili intellettuali, in modo sereno e perchè no davanti ad un buon bicchiere di vino.

Passiamo quindi alla ricetta.

Questa estate o poco prima ho conosciuto Mario, un rivenditore di 'esperienza ortofrutticola' prima ancora che di prodotti agroalimentari, il cui negozio, tempo addietro, mi era stato consigliato da un barbone-cuoco, Pierre. La sua storia, è la storia di chi conosce la campagna, avendone a disposizione una sua con differenti tipi di coltivazione (non intensiva) in Molise. Negozio piccolo e ben curato, prodotti di qualità scelti al mercato e propri (saltuariamente), questi ultimi piccole grandi gioie.
Da Mario, non si acquista solamente, ma si apprende, si conosce e si impara a rispettare i frutti del lavoro nei campi, puntando alla qualità, al poco ma buono, al boccone da prete che fa la differenza a livello di palato ed anche affettivo, lui che ha la fortuna di poter pescare anche da una esperienza di vita all'estero, la sua la dice sempre con semplicità e convinzione.
Il tempo della spesa non è mai sufficiente per raccontarsi di ricette, di prezzi al mercato fuori 'di testa', di alberi che danno frutti inaspettati, di raccolti decenti e di altri che invece non ne vogliono sapere di trovare una stagione decente (come i fichi quest'anno) e quindi sono sempre sul filo di un telefono che squilla e di un "scusa, continuiamo la prossima volta".
Mario però è attento ai clienti più curiosi (per non dire rompiballe come me!) ed è così che un giorno mi ha raccontato di una ricetta con la quale 'conserva' i peperoni migliori per l'inverno. Coerentemente alla sua natura verace non si limita a descrivermi il procedimento, me ne regala un barattolo appena fatto e mi fa vedere quelli che nel frattempo sta lavorando nel retrobottega per la propia famiglia. La ricetta l'ho trovata redatta sul foglio il giorno dopo.
Questi peperoni sono stati preparati, regalati ed anche mangiati tutti. Sto già pensando di farne qualcun altro con gli ultimi siciliani che ancora si trovano.
In fin dei conti è una conserva come tante altre eppure perchè ha un gran successo...semplice...perchè:
  • i peperoni restano callosi e saporiti, ideali per accompagnare o per essere riusati in qualche preparazione più complessa;
  • l'olio di marinatura, che vedete sempre nella foto, è un piccolo dono ancor più prezioso, quando finisce il prodotto primo. Lo ho usato per insaporire insalate, per marinare le alici o il pesce azzurro ed anche per i miei "crostini al peperone", ricavati dal pane che mi avanza dalla produzione quotidiana ridotto a quadratini e ripassati in forno solo dopo averli unti leggermente con il condimento appunto;
  • i peperoni risultano inaspettatamente digeribilissimi senza alcun problema in fase digestiva (visto che ne soffro...); 
  • si prestano a più varianti potendo mettere in infusione anche erbe aromatiche alternative;  
Adesso è chiaro il perchè per noi adesso sono i "peperoni di Mario", no?! :P ehehheheheehe
"Grazie Mario!" ahhahahhaha


 "I Peperoni di Mario"
3Kg. di peperoni puliti (lavati, asciugati e ripuliti di semini, picciolo e filamenti bianchi);
Sale;
1 l. di aceto bianco(ho usato quello di mele);
1 bicchiere d'olio;
1/2 bicchiere di zucchero;
1/2 bicchiere di sale;
Olio di oliva extravergine di ottima qualità per la conserva nei singoli barattoli;
Erbe aromatiche (facoltativo ma anche "inutile" vista la natura decisa e versatile del prodotto finito);
Barattoli da conserva opportunamente sterilizzati;

Preparazione
Tagliare i peperoni a falde e adagiarli su teli di cotone puliti. Con le mani quindi passargli del sale sopra e lasciarli così per 2-4 ore. E'chiaro che dovete mettere in conto una bella lavatrice di teli di cotone imbevuti del liquido di vegetazione che verrà fuori copioso nel mentre! :P ehehehehe Al termine di questa fase depurativa ripulire dal sale in eccesso ed asciugare ogni singola falda dall'umidità residua. Preparare quindi una miscela con l'aceto, il bicchiere di olio, il mezzo bicchiere di sale ed il mezzo bicchiere di zucchero, versare dentro uno stampo adeguato e qui immergere i peperoni (ben asciutti mi raccomando). Lasciare in quiescenza per 48ore mescolandoli di tanto in tanto. Dopo le ore di 'cottura' scolare i peperoni, asciugarli nuovamente e riporli nei barattoli da conserva ricoprendoli con dell'ottimo olio extravergine d'oliva. Chiudere e conservare, verbo quest'ultimo che non mi appartiene visto che li abbiamo già mangiati tutti! :P ahahahahaha Li rifaccio comunque perchè decisamente richiesti :)
 "Grazie Mario!" ahhahahhaha




martedì 9 ottobre 2012

Nachos


Fa caldo ma non ne soffro fortunatamente, la mattina mi sveglio verso le 4:30 anche se la vocina che mi accompagna nella testa mi dice che forse qualche altra mezz'ora di riposo non farebbe male. La ascolto ovviamente ma se proprio devo confessarvela tutta...le do retta solo quando mi fa comodo. Conviviamo da quando ho compiuto 6 anni. Io e lei, più di trenta anni insieme. Non c'è nulla di male ad avere una vocina dentro che parla, suggerisce, propone, indica, rammenta, valuta ed associa. La hanno tutti, magari non la ascoltano o fanno solo finta di non averla. Bugiardi. Ma io ci sorrido, so bene che le stravaganze si provano a nascondere e che si mostrano solo quelle singolarità attribuibili ad un numero confortante di invidui tale da poterle sdoganare come moda, ma fortunatamente non ho alcun problema a rivelare quello che mia madre con un sorriso dolce ed un pò bugiardo chiama 'sfumatura eccentrica'.
Ve l'ho detto che non soffro il caldo?! Ah si!
Nemmeno il freddo a dire il vero, fosse per me vestirei sempre con bermuda e t-shirt colorate a manica lunga, ma la vocina mi dice di adeguarmi altrimenti ancor di più dicono che sono stravagante, e sono in tanti adesso. Non che qualcuno me lo abbia mai accennato direttamente ma lo si legge chiaro negli sguardi interrogativi ed un pò morbosamente curiosi di chi mi scruta con la stessa attenzione che si può avere verso un folle. Attrazione ed invadenza velate di disinteresse affettivo qualora si prospettasse la possibilità di un contatto umano. Qualcuno mi ha chiesto anche perchè se sento caldo scelgo sempre magliette a manica lunga, semplice, non mi piace mostrare i braccialetti metallici che porto al polso, gli stessi che con uno scampanellio ritmico e perchè no (per me) anche musicale accompagnano la mia presenza o i miei allontanamenti. Mi piace sentirne il tintinnio e non vederli direttamente, un pò come si fa' con alcune gioie o piccoli dolori nascosti, preferiamo non riconoscerli o affrontarli come tali pur avendo la necessita di ricordarci che ci sono. Leggere vigliaccherie dell'animo, le chiamo io, dal ritorno musicale ed indolore.
La vocina tuttavia mi suggerisce anche jeans e pullover quando le foglie degli alberi cominciano ad arrossire sui rami, persino il cappello di lana quando queste cadono ingiallite lasciando le fronde spoglie. Gli alberi sono l'orologio più preciso che conosco. Di fronte casa c'è un giardinetto con un arancio che osservo sin da quando gli occhi hanno imparato a fissarne i colori e le sue gradazioni temporali. Ho passato i pomeriggi a capire come si muovono le ombre e come cambia l'inclinazione della luce secondo le diverse stagioni. Quando giocavo a pallone, nello spazio antistante all'arancio e dovevo tornare alle 19:30 sapevo con estrema precisione che a Giugno quando l'ombra del ramo maggiore toccava il bordo della recinzione della pianta era all'incirca l'ora di smettere. A Luglio invece l'ombra si spinge fino a costeggiare una panchina, così via fino a perdersi del tutto verso Settembre su punti più lontani di quadrati di pietra ruvida e porosa. Le mie giornate all'aperto smettevano quando la sagoma dell'arancio raggiungeva il bordo della fontanella del parco. Quella piccola conquista della luce sempre più obliqua all'orizzonte raccontava e racconta di una estate che tutt'ora si allontana definitivamente, ramo più, ramo meno, foglia più, foglia meno.
Vi ho accennato che mi piace studiare, sono bravo eh...anche perchè ho sempre la vocina che memorizza tutto quello che leggo. Ho pure finito l'università. I miei genitori dicono che sono stato bravo anche se non capisco perchè nessuno mi vuole per lavorare. Dicono che sono particolarmente difficile da "collocare", che ho competenze non facili da inquadrare. Non ho mai capito cosa vuol dire il verbo "collocare" a dire il vero. Anche il medico che conosce il segreto della mia vocina spesso mi chiede di collocare delle figure, sovrapponendole secondo logica, altra parola per me leggermente imbarazzante. Tutti si aspettano che logica sia un modo di pensare pressochè uniforme mentre io invece ne ho una mia con criteri e coerenze diverse, le stesse che deviano le aspettative di collocazione altrui.
Che sia una moda anche quella?! Tra l'altro un medico con tutta onestà non so se lo è veramente anche perchè non è mai in camice e poi vuole solo parlare, di certo è interessato alla mia vocina interiore. E pensare che gli basterebbe fare come fanno tutti i medici ascoltandomi le spalle per sentirla ed invece no preferisce parlargli attraverso me. Mah! Si fa chiamare per nome e poi, quando finiamo i suoi giochi di 'logica', mi lascia solo per parlare sottovoce con i miei che vengono a prendermi. Qualche volta è contento, altre meno. Forse perchè non sono collocabile e non so collocare i suoi disegni, perchè imparo tutto ma non la sua logica. Più in là casomai vi racconterò di quanto è strano lui invece, tanto questo diario è solo per voi e (lui) nemmeno sa che esiste. Ho anche una ragazza, questo non ve lo aspettavate vero? Ci incontriamo quasi tutti i giorni e sempre quando vado al supermercato per comprare gli yogurt, i miei yogurt...ne mangio tanti e quasi sempre al pistacchio, saltuariamente anche alla nocciola. Qualche volta devo fare la fila per vederla, veste sempre con la stessa scamiciata verde pallido un pò come la pelle del suo viso, pallida anch'essa e con un bel neo ad incorniciare un profilo spigoloso e deciso, raddolcito però da grandi occhi verdi. Ha i capelli profumati raccolti a coda e gli occhiali da vista semplici un pò calati sul naso e non perde mai la sua gentilezza. La intravedo da lontano, non importa se c'è qualcuno davanti a me perchè poi alla fine lei è ancora una volta lì a chiedermi se ho la carta-punti ed a dirmi con garbo quante confezioni devo pagare. Io sorrido e le dico 'il solito'. Lei anche sorride ed io so che è quello è il segno che siamo entrambi differenti, forse entrambi non-collocabili facilmente. Magari anche lei è diversamente logica come me. Mio cugino scherzando dice "che ci sta!". Ed è vero, ha ragione lei è sempre là ad aspettarmi, c'è sempre a sorridermi. Prima o poi però la sorprenderò comprando qualcosa altro oltre allo yogurt.
Ho un bel pò di cose da raccontarvi di questa estate e dei tanti amici che ho. Prima o poi vi dirò di una amica distante e del suo improvviso e dignitoso dolore, di un nuovo amico lontanissimo che spero di presentarvi a breve sempre che non sia ancora perso a cercare Radio Mosca, del viaggio esotico e musicale di una altra amica e della sua famiglia la stessa che condivide le intememperanze della mia indisponente vocina, di una ragazza tirata fuori illesa da un incidente d'auto, di uno zio imbarcato per l'America e della sue istantanee, di una ragazza dagli occhi scuri con la quale una sera abbiamo preso un gelato insieme pur essendo a millemiglia di distanza, di un gruppo di ragazzi che gareggiava in coraggio a lanciarsi di fronte a delle coetanee da un molo proteso nel blu e di una panchina fronte mare che mi manca. Per oggi devo salutarvi però, la vocina mi ha appena interrotto facendomi notare che la mia vicina di casa sta urlando qualcosa agitando le braccia dal balcone di casa. Anche io sono sul balcone seduto al tavolino fronte strada da dove vi sto scrivendo ed è per questo che intento a raccontarvi forse non mi sono accorto che si rivolgeva proprio a me. Un attimo, capisco cosa vuole. "Cosa dice??...". "Ah ok...si...ha ragione...mamma me lo dice sempre...per scrivere il tuo diario fuori almeno le mutande mettile'!...provvedo subito...non si agiti la prego". Adesso devo proprio lasciarvi, vado a scegliermi il bermuda.
Ve l'ho detto che non soffro il caldo vero? Si...mi sembra di si. A presto allora...


 Passiamo quindi alla ricetta.
Adoro i nachos, una delle poche cose salate che (mi) inducono la cessazione immediata di qualsiasi forma di autocontrollo alimentare, rendendomi stupido come quelle forme viventi che mangiano fino a morire senza avere una benchè minima sensazione di sazietà. Che io rifugga quelli imbustati di varie marche è quindi implicitamente una forma di scelta obbligata di sopravvivenza che ho, o meglio avrei dovuto imparare a mia spese, riuscendo a superare con enorme fatica dissenterie devastanti ai limiti della morte per disidratazione. Ed invece ogni volta (con i prodotti preconfezionati ovviamente) scoprivo che le piaghe da decubito-per-permanenza-prolungata-su-tazza, le stesse che mi facevano camminare come un ominide per svariati giorni non creavano alcuna memoria permanente nel mio lobo temporale. Soffrivo ma non registravo la sofferenza ottenebrato dal desiderio di mangiare altri nachos, senza che si presentasse il benchè minimo segno di nausea. E quindi tutte le volte ci sono sempre caduto con entrambi i piedi fino a quando non ho completamente evitato quei reparti dei supermarket dove sono vendute queste tipologie di prodotti.
Poi mi sono chiesto perchè non provarci ed è subentrata la fase di studio matto&disperatissimo, tante prove, tanti piccoli ritocchi fino alla definizione di una ricetta rimodulata nei passaggi e scritta nella mente, provata&riprovata fino al raggiungimento di un risultato soddisfacente. Senza esagerare la fase di definizione è durata all'incirca un paio di mesi. Posso affermare senza ombra di dubbio che potrei quasi apporre il copyright a questa piccola realizzazione che alle cene mi da il giusto conforto emotivo e goloso...con qualche controindicazione psicologica che potrete scoprire solo a fine spiegazione della preparazione.

Nachos

Ingredienti
210 gr. di lievito madre fresco di rinfresco;
80 gr. di farina di mais a grana grossa macinata con mulino a pietra o in alternativa una decente farina per polenta bramata;
20 gr. di farina 00;
50 gr. di olio extra vergine di oliva; prezzemolo liofilizzato o essiccato;
3 gr. di sale dolce o 2 gr. di sale normale;
- farina 00 per la lavorazione sulla spianatoia;  

Procedimento
In una ampia ciotola di vetro unire tutti gli ingredienti ed impastare a mano malgrado una iniziale e comprensibile difficoltà nel far assorbire l'olio evo al composto che inizialmente strapperà per poi essere recuperato eventualmente con un pugno di farina 00 aggiuntiva. A questo punto ricavare tante palline di impasto delle dimensioni di una noce, non oltre, con i palmi delle mani, facendo forza in modo da avere una densità uniforme senza ritagli sovrapposti. Infarinare quindi per bene il tavolo o la spianatoia dove vi trovate ed aiutandovi con altra farina aggiuntiva stendete ogni singola noce di impasto con un matterello, cercando non solo ri rispettare una forma concentrica ma soprattutto affinandola fino a quando non diventerà del tutto trasparente. Con la lama di un coltello dunque o una piccola "cazzuola" da cucina alzare la sottilissima piadina e porla su un tagliere dove procederete con un coltello a lama liscia ben affilato a tagliare i nachos secondo vostra fantasia. A me piacciono triangolari ma largo alla fantasia, voi che ne avete ovviamente :P
Procedete allo stesso modo con le altre palline. Quando avrete quindi tutti i vostri ritagli 'semitrasparenti' di impasto pronti prendete una padella dal fondo doppio, l'ideale sarebbe una crepiera (non elettrica please...), ungetela con poche goccie di olio evo aiutandovi con un tovagliolo e portatela a temperatura. Io uso una fiamma poco meno che media, ma mi rendo conto che è difficile avere un riferimento visto che molto dipende dalla qualità della crepiera (spessore, conducibilità, tipo di antiaderenza, ...) e da quale fuoco adoperate. In ogni caso fate prima una prova con un unico ritaglio di impasto in modo da regolarvi con i tempi per poi procedere con la cottura di massa. Ogni nachos deve colorire di un giallo scuro, quindi con un coltello ed una spatolina a metà cottura (3-5 minuti la cottura in totale) vanno girati stando attenti a non romperli, cosa facilissima soprattutto per le punte.
Salarli ancora caldi riponendoli ad uno ad unno con attenzione in un piatto da portata.
Un paio di ore dopo, se non vi siete impiccati alla cappa del fornello, o suicidati con il tubo del gas avrete finito ed a quel punto mettete su una camomilla perchè le mani rapaci di chi vi gira intorno senza intuire quanta fatica vi sia dietro, continuando a mangiarne disattendendo il fatto che li state preparando per degli ospiti, potrebbe portarvi a gesti di violenza impulsiva ed apparentemente ingiustificata. Io vi capirò ovviamente :D ahahaahaahahaha

Note
Di tanto in tanto mi raccomando, ungete la crepiera senza lasciarci i polpastrelli delle dita.



martedì 19 giugno 2012

Crostatine pistacchio e pere














Il dialetto napoletano è una lingua a tutti gli effetti ed il fatto che sia stata riconosciuta tale, oltre che patrimonio dell'umanità non cambia in pratica la sostanza e cioè quello di essere un idioma di base grecolatino sul quale la storia ha innestato pezzi di culture differenti fino a cesellarlo nei suoi più intimi aspetti verbali.
I riferimenti alle dominazioni franco-spagnole piuttosto che all'influenza normanna o araba è argomento trito e ritrito, così come i collegamenti con la sua forma artistica più alta, la canzone napoletana appunto con tutto ciò che ne deriva, monnezza neomelodica in primis.
Non che altrove ci siano alternative meno importanti storicamente ma il vernacolo partenopeo nato nel Regno delle Due Sicilie si è sempre contraddistinto dalle sue italiche alternative linguistiche per una componente fonica più volgare e soprattutto più sguaiata che ben si presta a colorire gli umori denigratori che contraddistinguono accesi scambi verbali all'arma bianca.
Devo pur menzionare l'amica Giovanna che invece mi testimoniava di un dialetto 'recente', risalente a poche generazioni antecedenti la nostra, dalla componente musicale accentuata e dai toni più smussati, quasi viranti all'aggraziato. Pur avendo evidenza di questa forma alta del 'volgare partenopeo' la tradizione si ritrova però più a suo agio nei primi aspetti (su menzionati) e quindi si rifà semplicisticamente e storicamente alla sua classica forma, licenziosa, leggermente scomposta, a tratti poetica per virare poi in forme scollacciate ma intense nel ritmo e dal pregnante carattere caustico.
In casa mia non si è mai parlato il dialetto ma la strada e la scuola sono le prime "università" che ti formano per osmosi, ogni oltre lucida ragione.
Il primo incontro cosciente forse, con il dialetto vero e proprio, è stato che io ricordi quando giocavamo a calcio sul fondo di una strada chiusa sfruttando una saracinesca di un garage come porta. Non ero grande, lo ero solo fisicamente per la panza sblusata sui calzoni, troppo per un ragazzino di circa dieci anni. La mia 'leggiadria' sportiva , nonchè il bruciante scatto che mi contraddistinguevano(guono) nel gruppetto fecero sì che un mio amico di quel tempo fosse colto da una reminescenza araba che trasformarono la fonia del termine 'adara' (ernia, appunto in arabo) nella seguente esclamazione:"...Gambè pare ca tien a uallera!!". Ricordo con precisione che non sapevo cosa fosse la 'uallera', chiedere spiegazioni non era certo il caso però il messaggio, quello si che era arrivato forte e chiaro senza alcuna necessità di traduzione a fronte. E' ovvio che nella testa di un ragazzino fanno breccia prima le parole usate per invettiva o per 'esortazione' come nel caso appena citato. Approfondire era d'obbligo soprattutto per situazioni boccaccesche\cameratesche lontane da casa nelle quali era una esigenza non figurare come troppo fuori dal contesto, ed ecco quindi che l'"adara" ci rese tutti un pò saraceni per quelle locuzioni che esprimevano all'occorenza considerazioni calcistiche, "Pelè è semp'a uallera e Maradona" o anche un tedio infinito verso qualcosa o qualcuno "...cià fatto a' uallera a' pizzaiola" (cucinare l'ernia alla "pizzaiola").
Per molto tempo ho vissuto quindi il vernacolo della mia città come una sorta di violenza al mio non sentirmi parte di quella sguaiataggine di fondo, lasciandomi in alcune situazioni privo della risposta giusta quella che mi avrebbe affrancato dall'essere "nu'turzo" (torsolo di mela o di pera e quindi sinonimo di fesso) quale sono e che mi avrebbe invece iscritto direttamente al meritorio albo dei "figli'e'zoccola" (qui ometto ogni possibile traduzione). Crescendo poi, con una sorta di percorso a ritroso ho ritrovato la mia lingua apprezzandola nelle sue declinazioni più artistiche con gli strumenti che nel tempo mi ha messo a disposizione quel pò (molto poco) che ho appreso dalla letteratura italiana . Quest'ultima mi ha consentito di gettare infatti un piccolo ponte teso ad intuire quali forme sintetiche e cromaticamente dense ha il dialetto partenopeo per esprimere un modo di sentire con tratti vivi e ricchi di luce, quasi a restituire più che una cartolina di una città quel respiro scugnizzo che si porta dentro chi è nato alle sponde del Vesuvio, dall'ultimo dei camorristi al più intellettuale dei suoi concittadini senza distinzione alcuna. Il dialetto come bisturi quindi per eviscerare una città, per mostrarne il cuore ed anche le intestina, per capire l'anatomia di una storia che si è scritta nel linguaggio, negli occhi e nei geni, rendendola unica.
Ci ho messo tempo a capirlo, a distinguerlo ed ad apprezzarlo.
Come vedete quell'amico che non ho mai frequentato non era andato tanto lontano dalla verità, inesorabilmente ero e resto per quasi tutto..."na uallera"! :D


Passiamo quindi alla ricetta
E'un pò che stavo dietro a queste crostatine rustiche di pistacchio&pere. Adoro inseguire l'immaginazione del mio palato, spostando l'orizzonte personale su quello che penso possa colpirmi. In merito avevo in partenza l'iniziale perplessità anche di MissD. che pensava (fortunatamente a torto) ad una nota troppo dolce e stufosa di un simile dessert. Poichè MissD. ha sempre delle intuizioni felici in merito questa volta temevo che i ragionamenti fatti potessero avere qualche reale falla. E' qui che entra in gioco il chiulo che invece ha fatto di queste crostatine un piacevole esperimento da replicare.
Partiamo dagli errori evidenti però. I gusci di pastafrolla sono stati fatti con cottura in bianco con carta d'alluminio e non con carta forno bagnata, ragion per cui "addio alla regolarità" estetica interna ed anche esterna, avendo i bordi subito lo sfregio dell'alluminio 'insediatosi' nell'impasto ovviamente cresciuto. Lo spessore invece è voluto, amo le frolle non troppo burrose e di spessore consistente tali da restituire "soddisfazione" al palato non perdendo però in scioglievolezza. La frolla di mia madre in merito è una piccola garanzia e quindi ancora una volta la ritrovate riportata di sotto.
In merito alla crema invece poco da dire....l'amica Milena del blog Una Finestra di Fronte è una garanzia, sempre.
Ho leggermente modificato la sua preparazione per renderla ancor più incisiva, ma qui siamo nell'ordine dell'assecondare le mie insane idee devianti in termini di golosità, quindi poco da dire, la retta via la trovate qui, sotto invece una piccola perdizione da 'morto di fame' :P ehehehehehehe
Il tocco di equilibrio invece arriva dritto dritto dal Nanni, preziosa fonte di spunti versatili ma soprattutto tecnicamente solidi, uno dei pochi al quale rivolgersi per avere un ritorno che sia tecnico ed approfondito ma che non si allontana mai dal didascalico puntando sempre alla resa al palato.
Perchè andrebbero rifatte queste crostatine?
Perchè addentandole, avrete dapprima la soddisfazione di una frolla che riempie la bocca, niente versioni chic da pasticceria piuttosto volumi rustici bilanciati da una marcata leggerezza dell'impasto, poi arriva la fresca crema al pistacchio dal gusto deciso che quando vira al dolce, quasi a far prevedere una deriva stucchevole viene subito riportata in riga dalle pere saltate in padella la cui freschezza è il vero asso nella manica. Riaddentare sarà l'unico impulso successivo, si pensa molto dopo al resto...se proprio è necessario :P ehehehehehe

Crostatine pistacchio&pere

Ingredienti per la frolla
400 gr. di farina 00;
160 gr. burro a temperatura ambiente;
160 gr. zucchero;
zeste di un limone medio;
2 uova intere codice 0 di grandezza media fredde di frigo;

Preparazione della frolla
Fare a fontana la farina mescolata in precedenza con la zeste di limone. Aggiungere quindi il burro ridotto a pezzettini e lo zucchero. Impastare sbriciolando tutto con il classico movimento con le dita che indica 'i soldi' raggiungendo una grana che sia la più sottile possibile (solitamente in una 20' non oltre anche perchè poi cominciano a dolere le dita stesse).
Aggiungere quindi alla fine le due uova ed impastare compattando rapidamente. Riporre il panetto in frigo per una oretta buona.
Stendere la frolla in uno strato sottile e foderarvi gli stampi da crostatina precedentemente imburrati ed infarinati. Bucherellare il fondo con i rebbi di una forchetta e sistemarvici sopra un foglio di carta forno bagnato&strizzato con dei fagioli a coprire tutta la superficie (non come ho fatto io con l'alluminio che poi il disastro non è tanto lontano :P ehheheh). Infornare a 180° per circa 10 minuti, quindi rimuovere i fagioli e la carta ed infornare nuovamente per altri 10-15 minuti circa (secondo lo spessore della pasta).

Crema di pistacchi;
200 ml. di latte fresco intero;
200 ml. di panna fresca;
85 gr. pistacchi;
5 uova codice 0;
40 gr. maizena;
160 gr. zucchero semolato;
40 gr. pasta di pistacchi;

Preparazione
Lavorare le uova intere con la pasta di pistacchi(frusta), lo zucchero, i 40 g di maizena ed i pistacchi tritati finemente e versarvi a filo il latte e la panna leggermente intiepiditi. Portare il composto su fuoco dolcissimo, mescolare finché non si addensa e trasferire in una ciotola di ceramica o di vetro perché non continui la cottura.
Filtrare con colino a maglie strette e finire a cucchiaiate quanto resta intrappolato :)

Per le pere al limoncello

Ingredienti
175 gr. di piccole e saporite pere coscia;
50 gr. di zucchero;
10 gr. di limoncello;
3 gr. di Maizena.
un filo di olio EVO
1/2 limone biologico;

Preparazione
Sbucciare le pere e tagliarle a fettine non troppo sottili, che andranno cotte a fuoco moderato in una padella antiaderente unta con un filo d'olio EVO insieme al succo del limone ed allo zucchero. Dopo qualche minuto le pere avranno prodotto il loro liquido, aggiungere la maizena (setacciandola) e cuocere rimestando con un mestolo di legno per un paio di minuti, finché il liquido si sarà gelificato per effetto dell'amido. Aggiungere il limoncello, mescolare e togliere dal fuoco. Far raffreddare a temperatura ambiente.

Montaggio
Riempire le crostatine di crema ed aggiungere le fette di pere sopra, in frigo poi per almeno tre ore. Se siete per l'estetica ci sarebbe da spennellare la superficie con gelatina neutra, capirete dalla rusticità dei gusci che nel mio caso sarebbe incoerente anche solo suggerirlo! :P eheheheheh