martedì 22 novembre 2016

Zuppa di cipolle, farro e gambetto


Da poco, per cambi logistici lavorativi frequento una mensa aziendale di quelle da numeri irrazionali. L'idea di refettorio da società degli anni 70' per capirci mi si è parata di fronte in tutta la sua vitalità e funzionalità disseppellendola da un oblio dove avevo rinchiuso alcune realtà organizzative datate per concezione e per valore proposto.
Le file bibliche dalle 12:30 fino alle 14:00 non sono un deterrente per nessuno. L'esodo crea imbarazzo ma non scuote le semplici menti tra le quali la mia. Manca solo lo scampanellio, il gregge è formato, un gregge però che si faccia attenzione, parte pecora ed impiegatizio con punte di nobiltà dirigenziale ma nel lento incedere fino all'ingresso delle aree ristorative diventa scortese, sgraziato, dando evidenza di modi disarmonici ed aggressivi con accenni di famelica villania mista a nonsense barbarici.
Le cinque aree tematiche gastronomiche nell'open space dai colori ospedalieri sono in realta postazioni fortificate dietro banchi esagonali metallici protetti da merlature d'alluminio che solo apparentemente agevolano la distribuzione del vitto. La fila per prendere il vassoio con la tovaglietta cartacea è anche un addio all'ultimo barlume di umanità poi c'è il mare aperto. Le prime due isole difensive che si incontrano sono quelle dei Primi e della Insalate\Frutta, rispettivamente a destra e sinistra. Ai Primi, solitamente si alternano alcuni dipendenti scelti tra i veterani della guerra nel Golfo per manifesta abilità alla sopravvivenza in condizioni estreme. Alle spalle, le funeree cucine dalla quale fuoriescono vapori sulfurei micidiali per temperature e per profumazioni, davanti dopo la trincea esagonale dei banchi l'aggressività del branco impiegatizio&licantropo. C'è sempre una pasta o del riso in bianco, una zuppa ed un paio di alternative formalmente più complesse ma solo per l'aspetto descrittivo. La pasta lunga tipo spaghetti ha il pregio di essere sollevabile secondo volumi fissi visto che la schiumarola con la quale viene presa consente matematicamente di servire sempre gli stessi dischi di 15-18 cm con spessore dipendente dalla densità colloidale del sugo adottato. I tris di verdure proposti invece in piatti ovoidali hanno temperature vicine allo zero termico il che giustifica la pigmentazione appetibile....peccato per l'aspetto masticabilità. Colori sfocati e tendenti al grigio invece, per i medesimi piatti garantiscono invece la bevibilità delle verdure che quando scongelate a dovere al sollevamento della pellicola trasparente (messavi a protezione di cotanta fragilità gastronomica) assumono consistenze acquose\liquide. Probabilmente l'idea dei centrifugati vegetali ha preso spunto proprio in una mensa laddove la disperazione gustativa ha trovato una sua diversa rivendibilità. C'è poi il blocco dei secondi, del piatto unico, quello della pizza ed infine la zona grill. All'esagono dei secondi gli effluvi rimandano sempre a carni bianche. C'è bisogno dei RIS per capire la differenza tra un petto di pollo ed un trancio di merluzzo ma questi sono dettagli così come il record della patata al forno la cui fettina nel piatto con 16cm di sezione in lunghezza (misurata con metro di carta dell'Ikea durante il pranzo nell'ilarità dei tavoli che ci circondavano) segna un record inarrivabile fino ad ora. 'Piatto unico', 'pizza' e 'grill' sono avamposti che non meritano spreco di parole alcuno sono l'eutanasia di qualsiasi tentativo "cuciniero", il buio della razionalità nel mondo del possibilmente-masticabile. Me compreso, il materiale umano non è che sia migliore. Nel personale di servizio si distingue un addetto allo sgombero dei carrelli multi-ripiano dove sono lasciati i vassoi usati non ripuliti. E'un uomo non più giovanissimo, smagrito, dal viso consumato, piccolo, spigoloso nel fisico e nello sguardo. Prende due carrelli alla volta, mettendoli uno dietro l'altro come fossero un treno e poi sgraziatamente inizia la sua ingombrante corsa attraverso il grande corridoio che perimetra in lunghezza tutto l'open-space per portarli a destinazione nell'area smaltimento. Lo fa nel pieno del trambusto. Non si ferma per nessuna ragione al mondo, intima un infastidito e cupo "attenzione" che non è urlato ma è ficcante come pochi suoni al mondo potrebbero esserlo. Tutti a quell'avvertimento si spostano\scanzano consapevoli che quell'esclamazione non ammette contraddizioni. Non c'è drammaturgia se vi dico che ha le fattezze di un attuale Caronte, con sguardo e toni dalla remissività inquietante. Gli avventori però non sono da meno e ripeto io in primis. Mi aggiro tra le "isole gastronomiche" con aria spaesata e demente. Scelgo sempre lo stesso piatto, un tris di verdure ma continuo a guardare in tutti i vasconi nella speranza di un miracolo che so non arriverà mai. Torno indietro, indugio, faccio finta di pensare, mi allontano non appena un addetto incrocia il mio sguardo anche solo per errore. Mi assento in quel mare magnum di umanità ricomposta che si scavalca con contegno e recalcitra in fila con il sorriso da matrimonio che nasconde invece l'imprecazione a denti stretti. Giacche&cravatte, tailleur e cosmetiche espressioni tirate si affacciano quindi ai tavoli gestendo il vassoio imbandito con nonchalance, intavolando discussioni interessate e distaccate, accanendosi all'occorrenza su una coscia di pollo, quest'ultime tutte perfettamene uguali tra loro, dalle proporzioni degne di un canone anatomico greco, il Canone di "Pollicleto" direbbe certamente il mio amico Fabio... Donne in carriera con visi unti da creme anti-age su labbra unte di rossetto ed olio dei sughi, uomini dalla vita stretta e lo stomaco pronunciato che ghignano rubicondi su piatti di pasta a monticello, giovani palestrati con il loro carico proteico senza la michetta sul vassoio e consulenti-operai di fornitori esterni che si rifuggiano in una spontaneità conviviale dovuto ad un nulla da perdere progettuale e\o contrattuale. Quest'ultimo aspetto imbarazzante per non dire mortificante. La mensa è uno dei pochi posti dove la mia passione per il cibo regredisce fino a diventare una forma di stizza incontrollata che sublimo lobotomizzandomi fino all'ebetismo conclamato. Riflettendo a mente fredda, trovo che non è il cibo l'aspetto discutibile quanto l'approccio umano. Quest'ultimo quasi disgusta.
Sì che si tratta di mensa aziendale ma vedere volti che portano il cibo alla bocca a ripetizione senza prendere fiato come una automa a stati infiniti di insensibilità mi fa ricredere non sulla dignità della cucina presentata quanto della specie che rappresento.
Bisogna saper mangiare ovunque e comunque, la versatilità e la mancanza di fighetteria televisiva vanno bandite così come l'assenza di rispetto verso una esigenza primaria che solo in assenza di cultura o di disponibilità diventa atto di sopravvivenza. Eccomi quindi all'uscita della mensa, anche io nella fiumana che si travasa dall'OpenSpace al bar senza mai vedere la luce perchè ogni dettaglio della catena di montaggio è studiata nei particolari, la penombra facilità la permanenza in quell'oblio. Manca la giacchetta e la coppola per essere il Fantozzi da refettorio aziendale anni 70, per il resto mi sento orgogliosamente lui nel ritrovarmi sorridente in gruppo ad aspettare il caffè ascoltando racconti improbabili di colleghi che vivono per approvazione da gruppo e per quel finto conviviale, tra una whatsuppata e l'altra.
Nel tornare a casa non posso non pensare alla frittata di cipolle e ad un birra gelata da consumare davanti al reality di turno...il "doh" ripetuto in loop è solo il cortocicuito naturale tra Fantozzi ed Homer...perchè io modestamente "lo sono entrambi" :)

Dedicato a Mirella :) 

Mai ricetta fu più indicata per segnare un ritorno.
Non è una vera e propria preparazione ricercata, l'ho fatta per caso la prima volta e poi l'ho ripetuta ogni settimana fino a capire che andava in qualche modo "imprigionata" nel blog con un procedimento standardizzato pur nel suo non essere dettagliata al grammo. Non c'è una intuizione geniale alle spalle quanto una idea che ho fatto mia che ha una sua resa ben identificabile nella zuppa, frullare il farro per ridurne la granularità sino ad ottenere uno sfarinato decisamente grossolano. Fare un brodo a parte è solo un modo per avere il controllo della sapidità e della cremosità della zuppa visto che qualità delle cipolle e tempi lunghi di cotture non permettono di fissare a priori il quantitativo dei liquidi da usare.

Passiamo quindi ai fatti..

Zuppa di cipolle, farro e gambetto (per 4 persone)
1,5 Kg di cipolle rosa (del tipo di Bassano), in alternativa una cipolla che sia dolce;
300 gr. gambetto di prosciutto dolce (per me di Parma);
3 cucchiai pieni di farro (decorticato per una maggior quantità di fibra) sminuzzato con un blender in più riprese;
Un paio di gambi di sedano ed un paio di carote + una carota piccola, una cipolla piccola ed un gambetto di sedano per il brodo di prosciutto;
Tre cucchiai di concentrato di pomodoro o in alternativa una buona conserva di pomodoro passato;

Preparazione
In una pentola con fondo antiaderente spessa faccio appassire in olio extra vergine di oliva (max 4 cucchiai scarsi) le cipolle tagliate piccolissime, le carote alla julienne, il sedano, anch'esso tagliato finissimo, cuocendo a fuoco basso e rigirando spesso con un mestolo di legno. Lascio andare per circa una 30' a fiamma lentissima facendo amalgamare il tutto. In parallelo, faccio la medesima operazione con la carota piccola, la cipolla ed il gambetto di sedano, facendo andare per una quindicina di minuti, terminati i quali, aggiungo 4-5 litri di acqua calda, i due cucchiai scarsi di concentrato di pomodoro ed il gambetto tagliato a pezzettoni ripulendolo delle parti di grasso in eccesso (in pratica questo è il lavoro più seccante e lungo se fatto con scrupolo).
Questo è il brodo di prosciutto che userò progressivamente, aggiungendolo alla zuppa.
Dopo una mezz'ora buona quindi aggiungo qule che resta del concentrato di pomodoro (un cucchiaio scarso), il farro ed i primi due mestoli di brodo di prosciutto avendo cura di non prendere il grasso che è affiorato nel frattempo.
Cottura 5 ore, a fuoco lentissimo, rigirando spesso ed aggiungendo man mano il brodo caldo quando la zuppa tende ad asciugarsi. L'uso di una pentola in ghisa è particolarmente apprezzato in questo caso e non per fighetteria quanto per maggiore facilità ad usare una fiamma bassa sfuttando al massimo le capacità conduttive del materiale.
Visto l'uso del prosciutto, la correzione con sale è in qualche caso d'obbligo ma lascio alla vostra prova d'assaggio la valutazione in merito. Inizialmente avevo anche pensato di frullarla la zuppa ma vi assicuro che le cipole in bocca si disfano dando una consistenza morbida, avvolgente con questa granularità accennata del farro che da consistenza e sostiene la dolcezza delle cipolle. Il pezzetto di prosciutto è il finale goloso.
Servire tiepida con un giro di olio a crudo e del bel pane caldo, magari fatto a casa. Il Chianti Classico Badia A Coltibuono è il vino ideale, almeno per me, per la sua freschezza e per un ritorno minerale che compensa la dolcezza della zuppa. Fatemi sapere...in fondo...si prepara quasi da sola questa zuppa...