Diario - 6 Dicembre, Sabato del weekend lungo con il ponte dell'Immacolata di Lunedì.
Le persone normali un Sabato così lo sfruttano al meglio, c'è chi dorme per recuperare ma anche chi prende l'albero di Natale dallo sgabuzzino per allestirlo nell'ennesimo pomeriggio di un giorno da cani da passare in mezzo a palle-palline-palloni, tra statuette del presepe invalide, festoni spellacchiati da rutti del Natale precedente e blister di luci cinesi all'amianto radioattivo luminose e pure intermittenti anche non in corrente.
C'è chi invece va al supermercato per allenarsi alla spesa-definitiva, quella stronca portafoglio ed anche coronarie visto che in offerta ci sono sempre i soliti panettoni con creme fosforescenti e glassature idrorepellenti, il classico 3x2 del salmone affumicato su autentico legno di quercia di Chernobyl, insalate di mare di Fukushima rimestolate con sapienza estetica in teglie smaltate con pittura per imbarcazioni. "Magari lo passo in cucina" penso il Venerdì sera in modo da anticipare qualche preparazione e potermi liberare per i giorni seguenti, "...e no!...", c'è la libreria da comprare, qualche stramaledettissima Billy di questa minchia da dover montare prima delle feste.
L'arrivo da Ikea non è strategico nell'orario ma "...'fa nulla..." oramai il danno organizzativo di dedicare una mezza giornata alla fiera del truciolo è già in fase di assimilazione.
Dopo mezzogiorno quindi salgo al purgatorio. Invece no è proprio l'inferno, a fine scala mobile già si vede la fila per mangiare... Immersi senza preavviso nel miasma olfattivo della pseudo trendy cucina svedese, mi trovo quindi a ravanare con lo sguardo nel cartellone del menù del giorno. Un morto di fame come me non può non perdersi nel fantastico mondo dei nomi dei piatti made-in-Ikea, cacofonici nel suono e molto probabilemnte anche nella resa finale. Poco male, non mi avranno!(mi induco a pensare un diniego per sedare una ingiustificata salivazione....)
La grammatica mi viene in soccorso però. Una Immondo-soppe (zuppa) di apertura, polpette di carne(?) köttbullar, l'assonanza visiva e fonica con i bulloni è fisiologica, degli involtini di cavolo dal colore improbabile così come il nome, Kaldomar e poi infine i pasticcini-biscotto Kakor, in tutte le salse-confettura compreso l'"ascellberry". Chiedo venia alla Svezia ma un Kakòr non può e non deve essere un dessert, Kakor al massimo può essere un qualche personaggio di fantasia per far ridere a crepapelle i bambini che iniziano a destreggiarsi nel significato con parole quali cacca&puzzette, non altro. Malgrado ciò sono portato di peso verso lo showroom prima di riucire ad arrivare alla cassa ed ordinare un MenùOmniComprensivo, perchè seppur associ con lucidità la tavola calda svedese del mobilificio ad un anticamera del "cesso a vita" ho sempre un morto di fame dentro di me che prende il sopravvento inducendomi a gesti "gastro-estremi". Si parte quindi con il "percorso Ikea", a digiuno ma con vago sentore di vita salva. E' un sentiero obbligato il "percorso Ikea", fatto di umanità in decomposizione cerebrale, ripetitività ficcante&convincente e paradiso per ortopedici, osteopati e carrozzieri. Partiamo dall'umanità però. Da Ikea non si va da soli, c'è un nucleo umano di almeno due persone ad entrarvi e poi con l'aggiunta di una unità alla volta si arriva fino ai gruppi famigliari o di amici che in qualche caso record può spingersi anche alla decina. Con certezza assoluta questo nucleo umano si divide in due sottogruppi. Il primo è quello che vive per una giornata da Ikea, che dentro è un architetto-geometra mancato è che non uscirà mai fuori dallo showroom senza almeno una cassettiera da personalizzare. Gli altri invece fanno parte dei soggetti umani "a carico", quelli obbligati con meschinità di ogni tipo a presenziare a quella liturgia laica del marketing svedese dell'arredamento, quelli che indipendentemente dal sesso trascinano le proprie "palle" lungo il sentiero lasciando solchi che disegnano i miglior circuiti di biglie mai visti prima. La presenza dei bambini che si gettano su divani e puff a caso con urla e capricci di ogni genere, appesantisce ulteriormente il clima rendendo quasi collerico e irrazionale lo stato di alienazione mentale nel quale si trincerano i "condannati dell'Ikea". La strage è sempre annunciata ed evitata per un soffio. I migliori psichiatri militari si dice usino "Ikea" per addestrare alla sofferenza psicologica estrema le teste di cuoio ed i corpi speciali. Passiamo quindi alla ripetitività ficcante&convincente. Ikea produce un set di mobili fisso e con quelli arreda un centinaio di scenari sempre con le stesse unità di base, suggerendo funzionalità e composizioni architeturali alternative. La ridondanza visiva e la resa scenica delle compatibilità si concretizza quindi nel sottobosco neuronale brullo e arido dei singoli umani sottoforma di dolce e persuasiva coercizione..."quel mobile è fondamentale, è decisivo, è funzionale, è bello, è cool, è "in", è intrigante,....". E'un lento e inesorabile lavaggio del cervello, di certo molto più efficace in chi ha appena mangiato al self-services. Sostanze psicotrope nel cibo e messaggi subliminali lungo lo showroom e si arriva al magazzino prima delle casse sufficientemente sedati nella volontà, rincoglionita al punto tale da ritenere Ikea, principio fondante dell'universo ligneo dell'arredo. E'provato che anche chi vive in albergo perchè milionario, una volta portato da Ikea ha comprato almeno una sedia a dondolo, una abat-jour o un irrinunciabile set di taglieri. Decerebrati al punto giusto si giunge quindi tutti al magazzino in uno stato semicosciente, intorpiditi nella volontà, occhio pallato, sguardo assente, insensibili ad ogni stimolo corporeo e con deliri di onnipotenza muscolare. L'acquisto in modalità self-service con presa delle merce direttamente dalle pensiline e dai pallet del magazzino viene infatti instillato dalla comunicazione come una azione elementare immediata. E'superfluo che la scheda-prodotto riporti una lunghezza dell'imballaggio di 2,5 metri ed un peso di 32Kg, a noi infatti, arriva sempre e solo la percezione di confrontarci con una spesa di minuteria ad ingombro ridotto, nemmeno fossero matite e quaderni. Ammesso infatti che evitiamo la discesa di una ernia trascinando in qualche modo il nostro scatolone sul carrello-carro-armato, supposto per assurdo che anche il passaggio del codice a barre sul lettore alle casse avvenga senza prolassi inguinali, è al parcheggio che i nodi arrivano al pettine, è li che ci rendiamo conto che il volume ed il peso non sono concetti astratti ma misure fisiche oggettive che non hanno nulla di rassicurante quando li confrontiamo con la nostra utilitaria. Si, perchè a meno che non siate i felici possessori di un SUV o abbiate un camioncino per traslochi, alla piazzola di sosta del parcheggio emerge chiaro il concetto dell'incomprimibilità dei solidi e della loro difficile riduzione. Sventrare i sedili posteriori dell'auto, sfanculare il ripiano di pelo di topo del bagagliaio a volte non basta, così come sminuzzare a morsi l'imballaggio, ci sono momenti nei quali seppur con le lacrime agli occhi è necessario regalare la ruota di scorta al primo passante. Sono momenti brutti, di transizione, attimi increduli che però concorrono a conquistare quella stramaledettissima Billy di questa ceppa.. Sporchi, sudati, mezzi asfissiati dal monossido di carbonio, incattiviti dall'Ikea pensiero che fallacemente ci ha fatto credere che il self service è un valore aggiunto, con i menischi maciullati dal peso del design svedese, perplessi se lasciare a terra anche il crick o usarlo sul parente prossimo che ha organizzato quel D-Day e con i finestrini aperti anche se piove per consentire all'anta di essere portata a casa, si intravede quindi la via del (non)ritorno. Se nonna non ha avuto l'ossigeno per qualche minuto perchè con un movimento netto le abbiamo stracciato le cannule dell'ossgeno nel tentativo di stivare gli sportelli della libreria accanto alla bombola di ossigeno portatile poco importa, se uno dei figli è stato dato in temporanea adozione per mancanza di spazio anche quello è accettabile, persino il conto del fisioterapista e dell'ortopedico sono passabili, zia lasciata alla fermata dell'autobus continua ad essere percepita in un quadro di possibile dignità perchè se non spaventa il preventivo del carrozziere una ragione c'è, ci deve essere...porca di quella troika. Panze piene, portafogli vuoti, macchine sventrate e famigliari persi in battaglia....eppure nel rientrare a casa emerge impulsiva la convinzione autoindotta che il vero guadagno non sarà solo il tanto agognato (e già sfasciato nel trasporto) mobile...quanto quelle fantastiche 5 fottutissime matitine che come cimeli di guerra mai più restituiremo...
Passiamo però alla ricetta....anzi no, due veloci parole sul nuovo layout del blog.
Sono molto "orgoglione" dell'impronta grafica che Sara ha dato al blog. Stile "minimale" il mio, adoro le cose sottotraccia, tra le righe, l'universo che c'è tra il detto-e-non-detto.
Perchè il cambio?
Non lo so, mi girava così, non ho un pubblico fisso al quale rendere conto, non vivo di like su Fb, pubblico quando mi va e quindi la questione è un apparente controsenzo eppure ogni tanto il cambio fa bene, forse necessitavo di un palliativo per evitare qualche denuncia sui social o ancor più concretamente mi piaceva l'idea di mettere in gr..afica quanto "verbalmente" sono sotto il profilo pubblico. In effetti sono il gambetto di prosciutto nella zuppa, uno che non serve necessariamente ma che se c'è, aggiunge sapidità, uno da "usare" con moderazione altrimenti il piatto diventa eccessivamente saporito, la persona che deve vivere della sua libertà senza sottostare a bandiere o sponsor, a cricche sui social o ad amicizie a convenienza. Il maiale che viaggia su una carota è invece la trasposizione della mia passione per i cartoon, del morto di fame che sono, di come a volte uso la scrittura con la dolcezza di una carota altre invece sfruttandone solo consistenza e forma.
Ringrazio sinceramente per la pazienza dimostrata con me Sara, una ragazza speciale con la quale conversare ironicamente di tutto e senza mai perdere di vista il concreto. Viaggiare per qualche tempo su una sottile linea di nonsense condiviso è stato un privilegio.
Adesso però davvero passo alla ricetta. Nanni è una di quelle persone che senti amiche, di quelli che ti conservi gelosamente pur frequentandolo poco meno di niente. La persona, il talento e la competenza ne fanno uno dei miei principali referenti. Ecco quindi che la sua Crostata Sacher non poteva che diventare un tarlo ossessivo. Devo dire che in qualcosa l'ho modificata ma solo per rompere il perfetto equilibrio della sua ricetta che ho seguito passo-passo aggiungendo in più uno strato di pasta di albicocche disidradate ed amaretti, un toccasana per spezzare il cioccolato di fondo(almeno a mio modo di vedere). Sotto il dettaglio ed in parentesi le aggiunte personali:
Crostata Sacher (amaretto&albicocca) (Nanni ed un pò Gambetto....molto poco Gambetto....) Pasta frolla al cacao Farina 270 gr.
Cacao 30 gr.
Baking 3 gr.
Burro 180 gr.
Zucchero a velo 120 gr.
Latte 40 gr.
Torta "Sacher"
Burro 150 gr.
Zucchero a velo 75 gr.
Tuorli 6 Farina 175 gr.
*Pasta base di cacao 120 gr. (vedasi spiegazione sotto)
Baking 8 gr.
Zucchero semolato 75 gr.
Albumi 4
Glassa fluida per rifinire la sommità della torta
Copertura fondente 64%
120 gr. Panna
100 gr. Glucosio
20 gr. (miele di acacia in sostituzione)
Per la rifinitura
Confettura di albicocche;
(pasta di albicocche&amaretti --> 80 gr. albicocche disidratate e 80 gr. di amaretti frullati insieme)
Biscotti semisferici di frolla al cacao
Copertura fondente
Albicocca disidratata
Procedimento
Preparare la pasta frolla col metodo che si preferisce e lasciarla riposare come sempre, dopodiché stenderla a spessore adeguato in stampo circolare, spalmarne il fondo con un po' di confettura d'albicocche. (Coprire poi il fondo con la psta di albicocche&amaretti in modo uniforme) Con la pasta rimanente cuocere dei biscottini tondi, come fossero baci di dama e lasciarli raffreddare.
Preparare il composto tipo Sacher montando il burro con lo zucchero a velo, incorporare i tuorli e la pasta base di cacao. Montare gli albumi con lo zucchero semolato ed incorporare la meringa ottenuta alternandola con le polveri preventivamente setacciate. Distribuire l'impasto, livellare e cuocere a 175° per 35' (nel mio caso45-50 minuti) circa o comunque fino a cottura completa. Sfornare lasciar raffreddare e smodellare dallo stampo. Fissare i biscottini al perimetro con poca copertura temperata, riempire l'interno con la ganache di cioccolato realizzata così come spiegato sotto(Glassa fluida per rifinire la sommità della torta).
*Base al cacao
Zucchero a velo 20 gr.
Latte 100 ml
Massa di cacao (o cioccolato al 90-99% di cacao) 50 gr.
Cacao 50 gr.
Zucchero 25 gr.
Vaniglia
Preparare la base al cioccolato che aggiungeremo poi alla panna: in un pentolino riscaldare il latte con la vaniglia (i semini di 1/4 di bacca) finché è tutto sciolto ed omogeneo, a parte setacciare il cacao con lo zucchero ed aggiungerlo poi al latte caldo stemperandolo con una frusta. Aggiungere infine il cioccolato a piccoli pezzi e scioglierlo sempre mescolando a fuoco lento. Continuare a cuocere mescolando senza interruzione per non farlo attaccare al fondo, finché addensa un po' togliere poi dal fuoco e lasciar raffreddare. Glassa fluida per rifinire la sommità della torta. Cioccolato fondente 64% 120 gr. Panna 100 gr. Sciroppo di glucosio 20 gr. Sciogliere a fuoco lento il glucosio nella panna mescolando con una spatola di silicone, continuare poi a scaldare ed appena spicca il bollore, spegnere e togliere dal fuoco. Attendere qualche minuto e poi aggiungere il cioccolato fondente tritato, lasciar sciogliere senza mescolare ancora un minuto e poi sempre con la spatola emulsionare cercando di non incorporare bolle d'aria. Una volta ottenuta una crema fluida e lucida verificare che la temperatura sia arrivata appena sotto i 30° e colarne la giusta quantità al centro della torta. Dare poi dei colpetti al vassoio facendolo "saltare" in modo da far distribuire omogeneamente la glassa sulla sommità della torta.