martedì 17 febbraio 2015

Crostata di mele con frangipane di mandorle e frolla integrale salata


Parlare di categorie professionali è sempre fuorviante, il luogo comune si fonde con le caratteristiche al contorno, però certe linee guida di alcuni percorsi formativo-scolastici sono di solito più facilmente individuabili e questo indipendetemente dal contesto lavorativo o famigliare nel quale si incastrano. Non so se ne avete qualcuno a portata di mano ma la figura dell'ingegnere suppongo la abbiate presente, almeno per sommi capi intendo.
Personalmente ne conosco molti, alcuni "addirittura" ancor prima che lo diventassero. Ricordo con un certo affetto l'ultimo anno di liceo quando frequentavo quei magnifici quanto inutili corsi di orientamento alla scelta della facoltà. L'eroe mediatico del momento, all'epoca dei fatti, era il magistrato, un eroe solitario votato al martirio ma anche alla vittoria sociale finale, quella che piega la mala-cultura e redime i cattivi, una sorta di nuova religione di atei codici. Medicina era invece la scelta di quelli caratterialmente inclini all'assistenzialismo, all'arrampicata sociale o alla continuità della targhetta con il titolo sulla porta di casa. C'erano quelli che nell'indecisione si buttavano su Scienze Politiche. I più integralisti, quelli che per intenderci si prendevano molto sul serio durante le manifestazioni politiche inseguivano invece psicologia o sociologia per giustificare la maglietta del "Che" indossata per comunicare sfumature intellettuali idealiste. Magari era solo funzionale a motivare lo spinello o per "accompagnare esteticamente" la birra tenuta tra le dita delle mani come una sigaretta per sentirsi alternativamente fighi in un contesto (molte volte) privo di spunti veri o interessanti.
Gli anni 80' avevano già archiviato da un pezzo gli anni di piombo , c'era solo l'imbarazzante (e ricco) socialismo ad annacquare una lotta sociale ai minimi storici. Lo "sdoganamento" della cocaina da droga dei ricchi a quella della media borghesia a caccia di riscatto sociale, gli yuppies, gli arrivisti dell'ultima ora, il boom della tecnologia e la democrazia cristiana come culto pagano, questa la cornice sociale che faceva da sfondo alla mia post-adolescenza.
Alle spalle di tutto però si muovevano i nerd, occhialuti esseri, un pò panzuti o in alternativa magri con brufoli strategici sul viso (di belli non ne ho ma visti), quelli che passivamente credevano alla Befana fino ai 10anni circa, analizzando però in antitesi tutto quanto li circondava con la stessa logica impietosa che invece trascuravano per le immediatezze banali della vita (quale appunto la Befana...). I reietti dagli sguardi femminili, sempre i nerd, guardavano tuttavia scolasticamente parlando tutti nella medesima direzione (universitaria), magari con cambi di conduzione secondo piccole sfumature di "pesantezza". Quelli nerd dentro, ma dentro-dentro, sceglievano matematica o fisica, quelli meno nerd e con un desiderio di rivalsa sociale che non fosse solo "filosofia" sceglievano invece ingegneria. Tra gli aspiranti ingegneri dell'epoca ricordo anche l'estemporaneo di turno, lui, "Mr Adasguish" (che ho conosciuto e frequentato per altro) che un pò per supposta convinzione un pò per fare colpo sulla ragazza, si era iscritto ad ingegneria elettronica, vestendosi "da ingegnere" sin dal primo giorno di corso, quasi che la futura qualifica implicasse una sorta di divisa sociale. Valigetta firmata Armani (non falsa), giacca Armani (originale anche questa, la madre aveva degli agganci lavorativi con il negozio) con pochette, pantaloni alla moda, capello pettinato con gel, proprietario di una 127 blu full-optional il cui impianto stereo costava più dell'intera auto, che insieme agli sfigati di un complesso universitario intero, all'apertura delle porte della facoltà alle 7:00, correva in mezzo a studenti di economia e commercio, piuttosto che di fisica per accaparrarsi i posti in prima fila nelle maxi-aule dei primi anni di corso, tutte affiancate in un corridoio lungo quanto un campo di calcio. Gli altri invece, compreso me, in tuta, in jeans al massimo, i volti stravolti dal sonno, con la bocca che sapeva di caffe&latte ingurgitato di corsa per arrivare in facoltà alle 7:00 quale che fosse il tempo o la temperatura, si accontentavano di dignitose terze file, quando buttava male la quarta. Una facoltà nuova per giunta di quelle costruite nel nulla ed ugualmente irrangiungibile per tutti, di quelle che azzerano ogni differenza tra i fuori sede ed i residenti. Un complesso funzionale e didattico decisamente democratico sotto il profilo logistico visto che i tempi di percorrenza per arrivarci, sia per chi distava 2Km in linea d'aria piuttosto che 60Km erano pressochè identici.
Eravamo infatti tutti geograficamente e provvisoriamente deportati in questa cattedrale nel deserto quale che fosse il punto di partenza, lascio quindi immaginare quale potesse essere la tenuta dell'abbigliamento dei più, che come me, vivevano in questo complesso dalle 7:00 alle 19:00 di ogni santissimo giorno feriale, compreso i prefestivi in molti casi. "Mr Adasguish" era ingegnere fuori quindi, forse lo era meno dentro visto durò qualche anno, non oltre che io sappia, pur restando immortale in quelle sue performances atletiche alla ricerca della seduta migliore che lo volevano runner di successo tranne per quella volta che nella ressa di una ventina di studenti in pieno scatto, tra vecchie cartelline di plastica colorate e zaini riciclati dagli anni precedenti, tra borsettine con il pranzo e fascicoli di fotocopie tenute insieme da lunghe graffette, inciampò. Chi, come me, era dietro vide solo la valigetta Armani librarsi in aria su una manciata di cappellini di lana in competizione, poi si avvertì la botta secca di un corpo pesante a terra, lo stesso che fece tamponare altrettanti malcapitati. Una pochette segnalava il groviglio umano dove scavare per recuperare " Mr Adasguish" ed il suo stereo portatile. Gli ingegneri "veri", quelli che poi lo sarebbero diventati negli anni a venire e che non furono coinvolti nella caduta a catena successiva di quel rovinoso capitombolo che coinvolse anche un bidello, si voltarono per un attimo ma cinicamente iniziarono a ridere solo dopo essersi assicurati le prime file di posti.
Già all'epoca avrei dovuto intuire da quell'episodio cosa e chi sono "alcuni" ingegneri. La facoltà poi forgia, soprattutto quella con i professori riconosciuti come i migliori dell'epoca ma anche come i più esigenti, quelli che ti comprimono didatticamente ed umanamente fino a quando per reazione, al raggiungimento di certi risultati, degli esami piuttosto che della laurea finale, l'autostima ti si dilata in modo non del tutto cosciente, dandoti fallaci percezioni di aver raggiunto stati di semidivinità intellettuali. E' pur vero che discorsi generici non se ne possono fare, ma per grandi linee condite da un bel pizzico di superficialità, con il senno di poi si può affermare che gli ingegneri si dividono in due grandi "macroclassi", quelli con la sindrome dei "grandi uomini" e quelli invece alla ricerca di una "umanità classica".
La seconda tipologia è per motivi affettivi quella al quale sono maggiormante legato perchè costantemente alla ricerca di una alternativa analitica che contempli anche, e di più, l'aspetto umano, propendendo verso la generosità (intellettuale e non). La prima macroclasse invece è quella dalla quale provo a tenermi il più lontano possibile, perchè va dallo "stronzo-purista", quello la cui autostima confina con la totale mancanza di autocritica, quello che magari per posizione lavorativa o per predominanza caratteriale-affettiva nel proprio contesto, è incontraddicibile e tutto quello che afferma, che sia per divertimento o per argomenti più seri è verità oggettiva scritta nella pietra, fino ad arrivare all' "ottimizzatore con coscienza a margine", colui il quale individua sempre la migliore strada per se, dopo, forse, se ha tempo, magari per "sport" la trova anche per il proprio cane e solo dopo per i colleghi o i suoi cari, perchè in generale per quest'ultimo vale la legge del "se la sfango io...sti cazzi" e se faccio qualcosa è solo perchè ho un ritorno personale. Ineccepibili analiticamente questo gruppo di ingegneri curvati dalle aspirazioni personali, meno dall'etica per ovvie ragioni, irritanti a prescindere per avere il dono del non ascoltare se non per interesse, ne ho anche conosciuti alcuni, qualcuno di recente però in piena crisi di conversione colto dal fulmine dell'aridità sociale e pronto a cambi di percorso radicali. Di mio, di ingegneri ne bazzico diversi e fortunatamente quelli che frequento o con i quali mi rapporto nel personale non appartengono (fortunatamente!) alla prima categoria, la scimmiottano per vanità, forse...ma non vanno mai oltre.
Quelli che invece non hanno dubbi, quelli che stanno all'autoironia come Barbara D'Urso sta al giornalismo di inchiesta, quelli che hanno un solo parere ed è inattaccabile appunto, quelli "che solo loro sanno leggere bene i fatti" e devono spiegartelo in qualsiasi modo anche quando si capisce che hanno imboccato un vicolo cieco, se potete invece, evitateli o frequentateli con il contagocce, i più sono solo dei giganti di argilla da abbattere a 'capate o a risate :)
Lascio quest'argomento con la figura del primo ingegnere che ho conosciuto.
Barba bianca, sguardo sveglio, carico di luce, la passione per i trenini elettrici, la battuta sempre pronta, la consapevolezza di avere maturato con il tempo strumenti di analisi affilati quanto concreti. Da lontano qualcuno lo scambiava per Luciano De Crescenzo e per colori devo dire che la somiglianza ci stava (ironia del caso De Crescenzo è un ingegnere) anche se non ho mai capito che effetto gli facesse questo accostamento estetico. Mi guardavo le vetrine illuminate che aveva allestito in casa a far bella mostra di se con convogli ferroviari di vario tipo con l'ammirazione e l'aria intontita che hanno i ragazzini quando intuiscono che il "gigante" che gli sta di fronte non è solo un grigio parente titolato quanto qualcuno con il quale provare a trovare un canale di comunicazione, per dirci cosa non lo sapevo di certo allora. Il tempo non ha aiutato, ho maturato però pian piano sempre più chiaramente l'idea che anche io avrei provato a portare con me "dei trenini" con i quali alleggerire il percorso che avrei intrapreso qualunque fosse stato o qualunque sarà.
Nessuna morale, come sempre, è chiaro che per qualche strana ragione anche io sia a mio modo un ingegnere, l'unica cosa che auguro a chiunque però, e soprattutto agli ingegneri è di avere sempre una "vetrina di trenini", per specchiare le proprie incertezze, per coagulare quello che siamo e non quello che vorremo apparire e per intuire soprattutto che prendersi troppo sul serio attecchisce si....ma solo con i cretini :)

Passiamo quindi alla ricetta Il morto di fame che ho dentro ha dei riferimenti gastronomici a Roma ben precisi. Sono stati consolidati nel tempo, con tentativi, piccole fregature ma sempre con la curiosità di chi ama scoprire dell'altro. In alcuni casi ho inconsapevolmente instaurato dei bei rapporti andando oltre il ruolo di cliente ma cercando piuttosto una comunicazione, un confronto fino ad arrivare a stringere delle relazioni davvero uniche. Legami fatti di brevi scambi di battute, di colloqui rubati a chi nel frattempo deve porre l'attenzione a più clienti (e non solo a me), scambi di pezzi di conversazione che nel tempo hanno permesso di collezionare minuscole tessere di un puzzle fatto appunto di parole e sguardi spezzati che però dal nulla hanno disegnato condivisioni fatte di stima ed anche di affetto. Così è stato per il bar che frequentiamo di solito, idem per la gelateria, così come per una osteria alla quale sono particolarmente legato. In questo giro di luoghi famigliari quindi c'è amche una pasticceria che ha in vetrina una torta di mele che mi ispira da sempre, fatta appunto con la frangipane. Quale migliore occasione quindi per testare anche una frolla salata "alterando" una base presa da Knam. Devo dire che con il bilanciamento della frolla ci ho preso alla prima, una gran botta di chiulo indubbiamente, motivo per il quale questa volta pubblico subito senza prima aver fatto almeno un paio di rifacimenti. La dolcezza della crema frangipane, l'acidità delle mele che si "arrostiscono" (quelle in superficie) e la punta salata della base si completano a vicenda lasciando la bocca soddisfatta. La glassa all'albicocca è fondamentale invece e non certo per l'estetica ma perchè al palato rafforza le sfumature zuccherine delle mele restituendole con un gusto maggiormente rafforzato e pieno. Rifarò questo dolce anche perchè la frangipane con la panna al posto del burro è notevole ed i benefici in termini di pesantezza sono altrettanto non trascurabili.
Ecco quindi i vari passaggi.

Crostata di mele con frangipane di mandorle e frolla integrale salata 

Parti della ricetta

Frolla;
Frangipane di mandorle alla panna;
Gelatina di albicocche;
2 Mele Pink Lady in lieve ritardo di maturazione;
6-8 amaretti di ottima qualità;

 Frolla Salata --> dosi per 900 gr.
250 gr. burro;
250 gr. zucchero semolato;
100 gr. uova;
7 gr. sale; zeste di 2 limoni bio;
10 gr. lievito in polvere;
100 gr. farina integrale macinata a pietra;
380 gr. farina 00;

 Preparazione della frolla a mano: Setacciamo farina e lievito sulla spianatoia, mescoliamo il burro freddo a pezzetti e, con una spatola o un coltello a lama lunga lavoriamo come per un battuto, fino ad ottenere un briciolame finissimo. Uniamo lo zucchero. Formiamo la fontana, versiamo al centro le uova battute con il sale, mescoliamo fino a che possiamo con una forchetta, poi spatoliamo trascinando l’impasto sul piano, rapidamente, fino ad incorporare tutta la farina. Infine, compattiamo con la stessa spatola o velocemente con le mani. L'ho lasciata in frigo per una notte.

 Frangipane di mandorle alla panna; per la frangipane alla panna con mandorla (Presa da MenuTutistico ma modificata):
170 gr. hg di panna liquida fresca;
200 gr. di farina di mandorle;
2 uova intere;
200 gr. di zucchero;
1 cucchiaio di pasta di pistacchio pura;
Unire tutti gli ingredienti in una bastardella ed amalgamare il composto con la frusta a mano fino a quando la crema sarà omogenea in densità. Stendere la frolla in uno strato non troppo sottile e foderarvi una tortiera precedentemente imburrata ed infarinata. Pennellare quindi con la confettura di albicocche o con la gelatina il fondo e sistemarci sopra prima gli amaretti sbriciolati, poi le fette di mela in modo regolare. Coprire quindi con la crema frangipane ed aggiungere altre fette regolari di mele cercando per quando possibile una geometria concentrica. Infornare a 180° per 85' minuti circa, finchè non sarà ben dorata e croccantina in superficie ma morbida al taglio. Lasciare raffreddare.

Una cottura così prolungata rischia di bruciarvi la frolla, che tra l'altro essendo integrale è anche meno "controllabile" a vista essendo scura di suo. Di solito dopo i primi 40 minuti rivesto la crostata con un foglio di alluminio che ne copre solo i bordi lasciando scoperta invece la parte centrale in modo da poter consentire una cottura uniforme e senza discontinuità evidenti. Spero vi piaccia. E'un dolce complesso al palato, malgrado si parli di mele e di crostata, ma di facile fattura che ha un riscontro notevole proprio per l'introduzione della frolla salata che sorprende piacevolmente così come la scelta di una farina integrale che restituisce ruvidezza estetica ma soprattutto di gusto :) La consiglio vivamente questa mia interpretazione un pò a chiulo della crostata di mele :) PS Sotto c'è anche la foto di una crostatina....dalle parti mie non si butta niente! :D