martedì 21 ottobre 2014

Cheesecake al cappuccino


Strana estate, strano autunno, strano periodo questo che vivo. 
Lucido a metà, come sempre. Ho attraversato i mesi che mi separano dall'ultima pubblicazione portando via con me immagini scomposte nei colori e negli affetti, sensazioni pungenti, piccole storie di dignità umana varia, lasciando alla ricerca della consapevolezza-a-tutti-i-costi un ruolo marginale, quasi a disinteressarmi dei contesti ma mai delle persone che li abitano. Detto così sembra quasi una riflessione ricercata ed invece no, ho solo messo a folle, lasciando che giri più alti e più bassi del motore non fossero frizionati da piccole e grandi sovrastrutture di alcun tipo. Un retino su una spiaggia di periferia turistica rende forse l'idea perchè senza alcuna aspettativa mi sono ritrovato con della monnezza, una bella macchia di catrame che non andrà via facilmente, qualche ciottolo più carino da conservare per rotondità e geometria cromatica e dei giocattoli usati che strappano sorrisi e desiderio di leggerezza. Vi risparmio le macchie di catrame e le merde scansate o prese in pieno a dire il vero ma se trovo coraggio e spirito qualche istantanea voglio riportarvela magari con una sorta di continuità così da riuscire a riprendere qualche dialogo interrotto qui sul web al quale sono più affezionato di altri. 
Questa estate ho fatto dei giorni di mare, inaspettati, piovuti dal cielo per tempistica ma che ho benedetto proprio perchè non programmati. All'estero e non in Italia perchè alla fine dei conti su lidi stranieri costa sempre di meno a parità di servizi offerti. Decisione presa ovviamente sempre con in testa un forte "e sti cazzi!" all'esterofilia che invece mal sopporto quando gratuita. Essendo il posto una isola e nello specifico anche tappa settimanale e programmata di crociere ho iniziato a convivere in alcune ore della settimana in giorni precisi con i crocieristi che sbarcavano per tour programmati identici per logistica, evoluzione ed anche negli epiloghi. 
Non mi sono mai piaciute le crociere, o almeno non avendone mai fatta una, posso solo affermare che non amo l'idea di accostarle all'immagine che ho della vacanza che per me resta sinonimo di libertà, di voglia di conoscere assecondando il momento e mia moglie, non altro, non altri. Sono allergico all'idea di dover dipendere da un carrozzone galleggiante, dove il concetto di "magnà" traduce in modo sterile tutte le aspettative di servizio offerto, assorbendo i pensieri della quasi totalità dei partecipanti fatta eccezione per le esigenze prettamente narcisistiche anche queste vissute con priorità eccessiva. Insomma ci si divide solitamente tra la sala ristorante, la piscina ed il cesso per smaltire la formula all inclusive che va onorata a costo della morte cerebrale perchè il rapporto qualità prezzo vira al positivo solo se si continua a masticare tutto ciò che è "gratuito" (questo in sintesi i riassunti fotografici di "crocieristi incrociati" per caso...). 
Non ne posso essere certo quindi ma ho comunque la netta evidenza del fatto che la crociera induca un timing della propria vita che nemmeno una scuola militare riesce ad imprimere nei cadetti e con così rapida efficacia aggiungo. 
Partiamo dagli umanoidi che ho visto io, vomitati da un pulmann granturismo ancora sonnolenti e frastornati su una spiaggia meravigliosa. Tutti con il medesimo asciugamano, tutti con le panze piene perchè "chettà voi perdere a'colazione nel megabuffet sulla nave?! Eh no! Me li vedo tutti al "magnamose quarcosa prima di andare via". 
Lo capisci perchè sono in digestione, nemmeno vedono il mare che hanno di fronte, addirittura ignorano i bar dei lidi, la prima ora sul bagnasciuga la passano a russare sotto Rayban inforcati senza voglia, bocca semiaperta e complice anche un sole che non scotta ancora molti sono vestiti di tutto punto, compresa pashmina che fa tanto figo quando si viaggia. Ad esclusione delle rare famiglie con bambini e per le quali quindi la priorità sono i secchielli e le palette, gli altri sono manichini griffati incapaci di qualsiasi attività cognitiva. Poi il risveglio dal torpore e la comunità di crocieristi piano piano prende vita. La prima esigenza è quella di prendere possesso di porzioni di spiaggia che consentano selfie o foto che possano testimoniare una pseudo solitudine. Ci sono ragazze che addirittura accennano a salti a piè pari con altrettanti ragazzi a sudare freddo per costringere la tecnologia che hanno a disposizione a fermare proprio l'attimo della sospensione. Dopo una serie di bozzi sulla sabbia che consentirebbero anche indagini speleologiche finalmente lo scatto da pubblicare è fissato e poco importa se la ragazza ha un menisco lesionato e mezza tetta fuori dal costume, l'importante è avere l'immagine che testimonia la felicità. Alcuni tirano fuori anche la reflex digitale ed a quel punto non c'è ne più nessuno, anche le cagatine dei geki sulle rocce alle spalle possono essere oggetto di istantanee. Assolta la prima esigenza narcisistica si rende necessario restituire alla natura quel litro di succhi di frutta e quei 3 cappuccini ingurgitati qualche ora prima e quindi tutti al mare tanto più che è splendido. Bene o male, tra un pranzo al sacco in molti casi preparato dall'organizzazione, la giornata trova la sua fine nel primissimo pomeriggio quando il medesimo pulmann che li ha scaricati all'inizio li riaccoglie carichi di colore, di crema solare non assorbita, di sabbia, di foto e di chiacchiere che da li a poco nel tragitto che li divide dalla prima meta urbanistica visitabile diventerà catalessi sciatta sotto l'alito insistente di una aria condizionata al limite del congelamento. Qualuno mentre aspetta l'autobus trova anche la forza per la settimana enigmistica. Il ragazzo (ad occhio maggiorenne) chiede al padre multitatuato e multipalestrato:"spazio piano davanti alla casa del contadino...da tre...". Il padre allarga le gambe, incrocia le braccia (serio non sto inventando nulla!), alza la testa al cielo, raccoglie tutte le energie mentali che ha in dotazione e poi con un soffio di aria orgogliosa scandisce:"Ara!". Il figlio lo guarda e probabilmente incrociando altre definizioni suggerisce:"papà, aia!?". Il padre, perde sicurezza per un attimo ed abbassando lo sguardo, conscio di essere ascoltato da più persone esclama con minore convinzione:"Si, ara, aia, vabbè..."(mimando a gesti una pariteticità di significati delle due parole). Il gruppo scompare quindi inghiottito da enormi bus infuocati dal sole che oramai inonda di luce qualsiasi cosa. Qualche mezz'ora dopo vengono quindi rivomitati nel centro storico della città isolana di riferimento nello stesso stato di intorpidimento che li aveva contraddistinti la mattina sulla spiaggia. Visi stropicciati dalla siesta, alcuni con paresi facciali parziali indotte da un uso stragistico dell'aria condizionata, altri ancora con arti addormentati per aver ceduto alla stanchezza in posizioni poco consone al riposo. Si intuisce che non frega una mazza a nessuno dell'urbanistica, della chiesa medievale o della cattedrale gotica, le esigenze da ottemperare sono il souvenir con la serie immancabile di scatti-selfie nei luoghi simbolo della città. I bar e le gelaterie che in qualche modo rimandano ad un prodotto italico sono prese d'assalto così come i commenti e le teorie che rimandano invece a scontri culturali enogastronomici interregionali e internazionali che hanno la stessa profondità di trattati filofofici etico comportamentale. Tra l'altro il posto è rinomato per una produzione casearia (rilevante nei numeri ma monotematica nel risultato e nella resa seppur di qualità) che in qualche modo aspira a raggiungere una vasta clientela altrimenti difficilmente conducibile nei luoghi remoti di produzione. I non rari chioschetti che pubblicizzano il prodotto locale con piccoli assaggini gratuiti sono quindi il focal point per incontri ai limiti del surreale, laddove il patrimonio italico enogastronomico viene ravvisato coma una laurea ad-honorem tale da consentire anche giudizi insidacabili sugli aspetti organolettici di qualsiasi cosa passi per le loro bocche impastate di lessico dalla chiara derivazione mastercheffiana. Non manca il folclore verbale. "Azz è buon, ma comme cia vir tu mò na muzzarella!?" (E'buono ma come la vedi tu adesso la possibilità di strafocarci con la mozzarella); "Ce pozzo pure fà a cacio e pepe con questo cacetto?!" "Ma perchè a Roma sapit'pure magnà?!"(ma perchè a Roma sapete anche mangiare) Poi c'è chi ricorda che il tempo a disposizione non è infinito e quindi nuovamente tutti sparpargliati per negozi e bancarelle alla ricerca di qualcosa che possa testimoniare a se o ad amici e parenti la presenza in quel luogo, l'affissione della propria faccia su quella scenografia distante, uno sbarco lunare da fermare passo dopo passo perchè la vacanza è globale e va condivisa, a chi parte ed a chi resta, è un capriccio estetico che va comunicato quasi per affermare la propria esistenza, un pò come i tatuaggi ai quali spero di dedicare proprio un post a parte perchè il fenomeno merita un riflessione di più ampio respiro.. L'italica esplosione di crocieristi tatuati, griffati, avvolti in pashmine colorate e con pacchtti variopinti di li a poco però sparirà inghiottita dal granturismo che li riporterà a bordo per l'ennessima abbuffata di gruppo da suggellare con l'abito da sera adatto al selfie di turno che sia il porco con la mela in bocca del buffet o la luna che si specchia nel porto poco importa. L'isola torna quindi a respirare aria di tranquillità, i turisti stanziali si riappriopirano delle panchine sul belvedere adesso solitario. L'andirivieni delle vie principali riacquista serenità nei passi meno repentini della folla precedente, la bancarella ritira fuori il "pezzo unico artigianale" venduto ad ogni invasione marittima senza mai andare a vuoto in nessuna occasione. I ristorantini snobbati dai crocieristi all'ingrasso riacquistano vita. E'Lunedì, Giovedì ennesimo sbarco, saremo meno isolati ma tutto sommato va bene così faccio parte anche io di questa commediola estiva anche perchè mi chiedevo spesso: "chi sa cosa penseranno i miei compatrioti italici a vedermi sempre su quella panchina con aria ebete ad osservare con occhio demente e pigro le loro evoluzioni vacanziere con sguardo incapace di giudicare ma desideroso solo di vivere il mio isolamento felice&fetente" 

PS
Devo dire che anche io questa estate non sono stato solo inerme su una panchina con le sembianze di Jabba the Hutt (visto il mio peso attuale) ma ho rotto le palle a degli amici lontani, complici della mia quotidianetà nel bene e nel male, informandoli su spostamenti, scenografie, piccoli episodi e pensieri mediocri di un napoletano in vacanza, con il cervello più cotto e coatto del solito. La coppia di amici in questione adesso non mi parla più, gli ho anche spedito una lunga mail ma nulla...che sia anche io protagonista mio malgrado di qualche racconto poco edificante magari in un altro blog o in qualche salotto lontano?! :D ahahahhhhaha 

(Post dedicato a Gino ed a Milena)


Passiamo quindi alla ricetta. 
Cosa dire, inizio da una cheesecake di Sale&Pepe che mi ispira più per il nome che per la preparazione. Concettualmente vado contro tutti i miei credo "esistenziali" maturati fin qui nel mondo dei dolci, ma non metto piede in cucina da Marzo scorso e quindi ho necessità di inisiare subito senza farmi troppe pippe mentali. L'occasione è una cena da amici (motivo per il quale non troverete foto della sezione) quindi l'affetto è il primo step dal quale sono partito per ritornare a cazzeggiare in cucina. Ed infatti nel dolce che vedete probabilmente c'è solo l'affetto che resta preponderante, un pò perchè quando ho cotto il cheescake mi sono addormentato sul divano prolungando la cottura di una ventina di minuti, asciungandolo per me troppo, un pò perchè me lo sentivo che mi avrebbe deluso. Non è un dolce cattivo tutt'altro, ma probabilmente per stupire avrebbe bisogno di qualche variante tale da dargli una marcia in più. Insomma da rifare all'occorrenza ma decisamente modificato per la base, preferendo un pandispagna e usando una componene che introduca anche una parte croccante, magari giocando con il caffe in polvere. 
Detto ciò passo subito alla ricetta. 

Cheesecake al cappuccino 
150 gr. biscotti secchi al cioccolato; 
250 gr. di ricotta sgocciolata; 
250 gr. di formaggio cremoso (stracchino, robiola...); 
230 gr. di panna acida; 
4 cucchiai di caffè solubile; 
4 uova;
4 cucchiai di latte intero;
 2 cucchiai di liquore al caffè; 
140 gr. di zucchero (120 gr. + 20 gr.); 
70 gr. di burro (ne ho usato solo 50gr.)+ un pò per ungere lo stampo; 
2 cucchiaini di cacao magro (nella ricetta originale solo 1 ma io l'altro l'ho usato per la base); cioccolato fondente di qualità per qualche truciolo decorativo; 

Spiegazione 
Prepararsi prima uno stampo con fondo e bordo amovibile rivestendolo di carta forno e ungendolo con del burro. Sciogliere quindi il burro della ricetta. Spezzare quindi i biscotti e frullarli in un mixer aggiungendo prima il cucchiaino di cacao amaro e poi versando a filo il burro amalgamando il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo nella granularità. Fondamentalmente le cheesecke le preparo sempre con una base di pandispagna ma in questo caso non avendo molto tempo a disposizione ho optato per i Grancereale al cioccolato. Si livella il composto nello stampo e lo si mette nel frigo. Si mescola quindi la ricotta con il formaggio cremoso, si aggiungono man mano le uova e si completa con 120 gr. di zucchero ed i 2 cucchiai di liquore al caffè, usando un mixer ad immersione per rendere omogeneo il composto facendo attenzione a non incorporare troppa aria. Sciogliere quindi anche il caffè solubile nel latte appena intiepidito ed unirlo all'impasto mescolando fino a completa integrazione. Si prende quindi lo stampo dal frigo e si versa il composto sopra la base di biscotti. Cottura in forno preriscaldato a 160° per 40 minuti (io 65 minuti e questo dipende dai forni chiaramente). Si lavora quindi la panna acida con i 20gr. di zucchero, si mescola per bene e si versa sul dolce. Ancora in forno per 20' (io 30minuti). Una volta fuori del forno, far raffreddare e passare in frigo per almeno una notte. 
Coprire con cacao in polvere amaro e nel mio caso con trucioli di cioccolato fondente.